Christopher Kushlis, Asia Sovereign Analyst di T. Rowe Price, sostiene che misurare l’impatto economico del Coronavirus paragonandolo a quello della SARS potrebbe rivelarsi sbagliato: ecco una possibile soluzione
Nella settimana in corso hanno continuato a scatenarsi i ribassi sui mercati azionari globali a causa delle paure per la diffusione del Coronavirus e per l’impatto economico dovuto alle misure di contenimento per evitare l’espansione dell’economia messe in atto dai vari Paesi.
Per misurare i possibili impatti dell’epidemia all’interno dell’attuale contesto economico, si tende a prendere come esempio la SARS, scoppiata tra il 2002 e il 2003. A tal proposito, Christopher Kushlis, Asia Sovereign Analyst di T. Rowe Price, mette in evidenza come questo paragone possa essere sbagliato.
L’esperto spiega infatti come negli anni in cui è scoppiata la SARS nell’economia pesavano altri elementi, come il rallentamento nella crescita del Pil, la guerra in Iran e il rialzo dei prezzi del petrolio.
Stando alle stime citate da Kushlis “il calo del tasso di crescita cinese nel 1° trimestre 2003 riconducibile a fattori idiosincratici interni alla Cina – tra cui la SARS – è solo dell’1%, mentre il resto è attribuibile a fattori esterni come la crescita globale e il prezzo del petrolio”.
Coronavirus e impatto economico: una possibile soluzione per quantificarlo
Per Christopher Kushlis, un indicatore affidabile per misurare l’impatto economico del Covid-19 è relativo alla quantificazione dei giorni di lavoro persi a causa del virus. “In base alle nostre stime, le misure imposte dal Governo cinese all’inizio di febbraio hanno provocato una perdita di 8 giorni lavorativi per il Paese nel complesso. La perdita di un giorno lavorativo provoca una perdita di output di circa 0,4%. Di conseguenza, si può stimare una riduzione del 3,2% nel tasso di crescita trimestrale cinese dovuto all’epidemia”, sostiene l’esperto. Kushlis ritiene questo metodo affidabile anche per gli altri aesi colpiti dall’epidemia.
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