Cos’è il neuromarketing e quali sono i suoi limiti

Davide Galasso

20/02/2025

Ecco cos’è il neuromarketing e quali sono i vantaggi e i limiti legati a questa nuova disciplina in espansione

Cos’è il neuromarketing e quali sono i suoi limiti

Negli ultimi anni si sta diffondendo una disciplina del tutto innovativa che sta rapidamente rivoluzionando il settore del marketing e dei consumi.

Siamo parlando del neuromarketing, branca di studi che unisce le conoscenze neuroscientifiche al campo del marketing con l’obiettivo di sfruttare le tecniche della ricerca cognitiva per comprendere, decifrare e anche prevedere le scelte d’acquisto degli individui.

Ma come riescono i professionisti del neuromarketing a ottimizzare e incrementare le vendite con l’ausilio delle nuove tecnologie?

Cos’è il neuromarketing?

Il termine neuromarketing è stato coniato nel 2002 da Ale Smidts, un professore olandese di marketing research presso la Rotterdam School of Management.

Le ricerche in questo giovane ramo delle neuroscienze comportamentali si basano sull’utilizzo di tecniche e macchinari innovativi, in grado di analizzare le attivazioni neurali e fisiologiche di un consumatore quando sottoposto ad uno stimolo d’acquisto e di restituire un report.

La forza della disciplina deriva dalla costatazione che le persone, spesso, non sono in grado di spiegare razionalmente le sensazioni e i criteri che hanno adottato per effettuare una scelta.

Ad esempio, potremmo essere convinti di aver comprato un determinato prodotto perché costa meno degli altri ma, in realtà, non è solo per quello e alla base di questa preferenza ci sono una serie di motivazioni nascoste, che solo il neuromarketing riesce a portare alla luce.

Alcuni dati descrivono in maniera esemplare quanto questa branca possa essere spaventosamente efficace. Basta pensare infatti che, secondo alcuni studi neuroscientifici, oltre il 95% degli acquisti che facciamo ha delle componenti irrazionali, di cui non siamo consapevoli.

Grazie a degli appositi macchinari, adesso è possibile riuscire a leggere e interpretare i segnali cerebrali di un individuo e comprendere il perché di una gran parte delle sue scelte di consumo.

Cosa fa e a cosa serve il neuromarketing?

Dalla disposizione dei prodotti sugli scaffali dei supermercati, passando al packaging e ai colori utilizzati sulle confezioni, fino alla struttura dei siti web e alle pubblicità televisive a cui siamo esposti ogni giorno: tutto ciò oggi è studiato e organizzato nei minimi dettagli per adattarsi al meglio ai nostri bisogni, anche quelli di cui non ci rendiamo conto.

Il neuromarketing è, quindi, una vera innovazione, creata appositamente per comprendere come massimizzare l’efficacia dell’insieme di strategie appena descritto e per aiutare sempre più aziende e produttori ad incrementare le proprie vendite.

Gli strumenti del neuromarketing

La maggior parte degli strumenti del neuromarketing sono applicati in relazione allo studio del settore pubblicitario e dell’advertising.

Quotidianamente, infatti, siamo esposti ad una lunga serie di imput pubblicitari che hanno la finalità di indirizzarci all’acquisto di tanti servizi e prodotti differenti.

È facile immaginare come, una volta compresi i meccanismi neurali e psicologici alla base della risposta ad una pubblicità, sia un gioco da ragazzi per un’azienda trovare la strategia vincente. Infatti, quando una persona è esposta ad uno stimolo pubblicitario è possibile analizzare varie tipologie di risposte automatiche, molte di queste inconsapevoli ma non per questo meno importanti.

Queste risposte sono analizzate tramite una serie di macchinari volti a monitorare una serie di parametri. Vediamo quali.

Monitorare l’attenzione

In primis, è presente un’attivazione del livello attentivo, variabile nel corso di andamento dello spot e tracciabile tramite specifiche frequenze d’onda grazie all’elettroencefalogramma (EEG).

Quest’ultimo permette, tramite degli elettrodi applicati sullo scalpo di un soggetto sperimentale, di avere informazioni precise sul livello di attenzione della persona durante la riproduzione di uno spot e di ottenere così insight importanti per eventuali modifiche, al fine di aumentare l’efficacia della pubblicità.

Monitorare l’interesse

Oltre che per ottenere informazioni sull’attenzione di uno spettatore, l’EEG viene utilizzato anche per monitorare il grado di interesse di un individuo riguardo ciò che sta osservando.

Il livello di interesse di una persona, infatti, è dato dal bilanciamento di due sistemi: uno detto BAS (Behavioral Approach System) e un altro chiamato BIS (Behavioral Inibition System).

Il primo ci spinge ad avvicinarci agli stimoli che per noi sono interessanti mentre il secondo, invece, ci fa allontanare dalle situazioni spiacevoli o che riteniamo siano di poco interesse.

Il macchinario EEG mostrerà quindi lo sbilanciamento relativo al predominio di uno dei due sistemi lungo tutta la durata della pubblicità, indicando così in quali sequenze un individuo è interessato ed in quali lo è meno.

È proprio sfruttando questi meccanismi che gli esperti riescono a comprendere al meglio in quale momento presentare il prodotto principale all’interno di uno spot, approfittando delle sequenze di massima efficacia comunicativa suggerite dall’elettroencefalogramma.

Monitorare la memoria

Nel neuromarketing l’analisi delle frequenze dell’EEG viene utilizzata anche per altri scopi altrettanto affascinanti e sbalorditivi.

Ad esempio, è stato dimostrato come tramite il macchinario sia possibile ottenere una stima piuttosto precisa della “memorabilità”, ovvero della probabilità che il soggetto vada a ricordare i contenuti di una specifica sequenza di immagini per molto tempo, inserendoli nella memoria a lungo termine.

Questa variabile è nota ai ricercatori come “memorization index”, letteralmente “indice di memorizzazione”. Può essere compreso tra i valori 0 e 1 ed è calcolato in base alle variazioni della frequenza neurale in banda theta (compresa tra 4 e 8 hertz), quella associata alla memoria episodica.

Conoscere le emozioni

Un altro aspetto importante al centro degli studi sperimentali di neuromarketing riguarda l’analisi delle emozioni.

Assieme alle risposte precedentemente descritte, infatti, ogni istante di uno spot pubblicitario è accompagnato da una conseguente risposta emotiva dello spettatore, anche quando non ne è consapevole.

Lo studio delle reazioni affettive è fondamentale per i venditori. Basti pensare, ad esempio, ai benefici che possono derivare dal riuscire a suscitare delle emozioni positive alla visione di un prodotto. Tendenzialmente, le stesse emozioni si ripresenteranno quando quell’articolo verrà riconosciuto tra gli scaffali del supermercato, aumentando così le probabilità d’acquisto.

Per ottenere delle informazioni sulle attivazioni emotive durante gli spot televisivi si utilizzano due strumentazioni innovative: l’HR (Heart Rate) e il GSR (Galvanic Skin Response).

Il primo riesce ad analizzare le variazioni della frequenza cardiaca associandole a cambiamenti dello stato emotivo, che può variare da positivo a negativo. Il secondo, invece, funziona per mezzo di alcuni sensori biometrici che vengono applicati sul polso e sulle dita di un soggetto e sono in grado di rilevare la componente di arousal dell’emozione, ovvero il suo livello di intensità.

L’utilizzo di questi due strumenti viene spesso combinato per ottenere una panoramica completa sulla variazione delle emozioni di chi assiste ad una pubblicità.

Le implicazioni di tali metodi sono di notevole importanza. Ad esempio, grazie a queste tecniche i professionisti del settore riescono a identificare gli slot ottimali per mandare in onda i vari spot e a massimizzare la loro efficacia grazie alla compatibilità emotiva con i programmi tra i quali vengono inseriti.

L’eye-tracker

In dotazione agli esperti del neuromarketing c’è anche un altro strumento, la cui efficacia si sta rivelando sempre maggiore viste le costanti migliorie a cui è sottoposto.

Si tratta dell’eye-tracker, un macchinario di rilevazione della direzione visiva funzionante tramite infrarossi capaci di analizzare il movimento della pupilla.

Lo strumento è estremamente preciso e permette di indicare con chiarezza le aree in cui, istante per istante, la direzione visiva si è concentrata maggiormente.

A livello pubblicitario, ad esempio, viene utilizzato per osservare le variazioni dello sguardo sullo schermo, in modo tale da poter ottenere informazioni su dove posizionare gli elementi più importanti, come loghi o numeri di telefono e massimizzare le probabilità di focus visivo.

L’eye-tracker, inoltre, viene coinvolto molto negli studi di UX e UI, utilizzando i dati sul tracciamento oculare al fine di migliorare l’esperienza utente all’interno di un sito web.

Quali sono i limiti del neuromarketing?

Abbiamo visto come gli strumenti a disposizione di questa disciplina siano particolarmente potenti e stiano rendendo possibile quello che fino a pochi decenni fa si considerava del tutto impensabile.

Il neuromarketing, però, ha dei limiti applicativi che non vanno sottovalutati e potremmo paragonarlo ad un arma a doppio taglio.

Da una parte permette ad aziende e venditori di comprendere cosa spinge realmente una persona all’acquisto, risultando estremamente utile per il progresso del settore del marketing a livello globale. Dall’altro lato, la stessa capacità di influenzare le decisioni e di analizzare il livello subconscio dei processi di scelta solleva delle questioni etiche importanti.

A tal proposito, guardando il tutto da una prospettiva un po’ distopica, la paura che qualcuno afferma di sperimentare deriva da una potenziale perdita di autonomia decisionale.

In un futuro più o meno lontano, infatti, gli strumenti in dotazione al neuromarketing potrebbero essere così potenti da non rendere le nostre scelte più “completamente nostre”, lasciando spazio al rischio di una società in cui l’economia è in mano ai macchinari più avanzati.

Rimangono fondamentali, quindi, un controllo e una trasparenza adeguati nell’utilizzo delle tecniche di neuromarketing, con la finalità di garantire sempre i diritti fondamentali dei consumatori.

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