Cos’è la separazione delle carriere nella magistratura, cosa prevede la riforma della giustizia e quali conseguenze avrà sul sistema giudiziario.
La separazione delle carriere nella magistratura è tornata al centro del dibattito politico e istituzionale, specie dopo l’approvazione in prima lettura alla Camera, il 16 gennaio 2025, del disegno di legge costituzionale n. C. 1917 promosso dal Governo Meloni. Il testo, ora all’esame del Senato (DDL n. 1353), propone una profonda riforma dell’ordinamento giudiziario: prevede la netta distinzione tra le carriere dei magistrati requirenti e giudicanti, l’istituzione di due CSM e la creazione dell’Alta Corte disciplinare.
L’obiettivo è rafforzare l’imparzialità del giudice e garantire una maggiore terzietà nel processo penale. Tuttavia, la proposta ha generato una forte reazione: l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha proclamato uno sciopero nazionale per il 27 febbraio 2025, accompagnato da assemblee pubbliche in diverse città, denunciando il rischio di un indebolimento dell’autonomia della magistratura. In tale panorama di tensione istituzionale, la riflessione sulla separazione delle carriere si carica di nuovi significati, toccando nodi costituzionali irrisolti e sollevando interrogativi cruciali sull’equilibrio dei poteri nello Stato di diritto.
Cos’è la separazione delle carriere?
Nel sistema giudiziario italiano, la magistratura si articola in due rami funzionali: la magistratura giudicante, composta dai giudici, e la magistratura requirente, composta dai pubblici ministeri (P.M.). I primi sono chiamati a dirimere le controversie e a pronunciare sentenze nei procedimenti civili, penali e amministrativi; i secondi, invece, rappresentano l’organo dell’accusa nel processo penale e hanno il compito di esercitare l’azione penale (art. 112 Cost.).
“Attualmente, entrambe le funzioni sono ricoperte da magistrati appartenenti al medesimo ordine e reclutati tramite un unico concorso pubblico.”
La distinzione è pertanto solo funzionale, non di status giuridico: si tratta, cioè, di ruoli distinti ma interni a un’unica carriera, con la possibilità (sebbene limitata) di passaggio da una funzione all’altra durante la vita professionale del magistrato.
“La separazione delle carriere mira a rendere una distinzione anche strutturale, attraverso l’istituzionalizzazione di due carriere autonome e non interscambiabili: una riservata ai giudici, l’altra ai pubblici ministeri.”
In altre parole, separare le carriere, significa istituire due percorsi professionali distinti: uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, senza possibilità di passaggio tra i ruoli.
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Terzietà del giudice e neutralità nel processo penale
Uno degli argomenti a sostegno della separazione delle carriere è il principio della terzietà del giudice, fondamento del giusto processo. Tale principio, sancito dall’art. 111 Cost. richiede che:
“il giudice sia imparziale e indipendente rispetto alle parti, in particolare nei processi penali, dove si confrontano la posizione dell’accusa e quella della difesa.”
L’attuale sistema pur riconoscendo una distinzione funzionale, ha suscitato negli anni numerose critiche da parte di dottrina e avvocatura, in quanto l’appartenenza al medesimo ordine e la comune formazione professionale tra giudici e pubblici ministeri rischierebbero di compromettere, la neutralità del giudice rispetto all’accusa.
La proposta di riforma costituzionale intende rafforzare tale terzietà attraverso una netta separazione ordinamentale tra accusa e giudizio, prevedendo due percorsi di carriera autonomi sin dall’accesso in magistratura. In tal modo, si mira a rafforzare il principio di imparzialità del giudice e a evitare ogni interferenza o influenza reciproca tra le due funzioni.
Come funziona oggi la magistratura italiana
L’attuale assetto della magistratura italiana è fondato sul principio dell’unitarietà dell’ordine giudiziario.
“La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.” (art. 104 Cost.)
Vediamo di seguito i principali aspetti dell’attuale sistema.
Il concorso unico per entrare in magistratura
L’ingresso nella magistratura italiana avviene mediante un concorso pubblico per esami bandito periodicamente dal Ministero della Giustizia, ai sensi del D. lgs. n. 160/2006. Il concorso è unitario, senza distinzione tra funzione giudicante e requirente: i vincitori, dopo il tirocinio formativo, vengono assegnati a una delle due funzioni sulla base delle esigenze dell’amministrazione giudiziaria e della graduatoria di merito.
Scambi di ruolo tra giudice e PM: cosa prevede la legge
Uno degli aspetti più controversi del sistema attuale riguarda la possibilità per i magistrati di passare da una funzione all’altra nel corso della propria carriera, cioè dal ruolo di giudice a quello di P.M. e viceversa. Originariamente, questa mobilità era libera, ma la l. n. 111/2007, meglio nota come “riforma Castelli”, ha introdotto delle limitazioni per rafforzare la specializzazione e ridurre i rischi di commistione tra le due funzioni.
In particolare, oggi:
- il cambio di funzione è ammesso una sola volta nella carriera;
- deve avvenire nei primi cinque anni di servizio;
- richiede una formazione specifica;
- comporta anche il trasferimento di sede in un altro distretto di Corte d’appello, per evitare conflitti di interesse o situazioni di continuità processuale.
Tali restrizioni mirano a preservare l’imparzialità dell’operato del magistrato, ma non incidono sulla natura unitaria della carriera, che resta formalmente e sostanzialmente tale.
Il ruolo del CSM nell’autogoverno della magistratura
L’organo di autogoverno della magistratura, previsto dall’art. 105 Cost., è il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Il CSM esercita le sue funzioni sull’intero ordine giudiziario, sia in relazione alla magistratura giudicante, sia nei confronti della magistratura requirente.
Tra le sue competenze principali vi sono:
- nomine, assegnazioni e trasferimenti dei magistrati;
- promozioni e valutazioni di professionalità;
- procedimenti disciplinari (salvo la giurisdizione della Corte di cassazione);
- garanzia dell’indipendenza interna ed esterna della magistratura.
Il CSM è composto da membri togati (eletti tra i magistrati) e laici (eletti dal Parlamento), con la presidenza attribuita al Presidente della Repubblica. La sua struttura unitaria è diretta conseguenza dell’impostazione costituzionale dell’ordine giudiziario indiviso, ed è oggetto di radicale revisione nella proposta di riforma costituzionale, che prevede due CSM distinti.
Riforma e separazione delle carriere: dalle origini ad oggi
Il tema della separazione delle carriere nella magistratura è una delle questioni più controverse e dibattute nella storia della giustizia italiana. Benché mai attuata in via definitiva, è tornata ciclicamente al centro del confronto tra poteri dello Stato, toccando aspetti cruciali dell’equilibrio tra garanzie costituzionali, efficienza del sistema giudiziario e indipendenza del pubblico ministero.
Quando nasce il dibattito sulla separazione delle carriere?
Il principio dell’unità della magistratura sancito nella Costituzione del 1948, è in contrapposizione con il modello autoritario fascista che prevedeva una netta subordinazione del P.M. al potere esecutivo. Tuttavia, con l’evoluzione dello Stato costituzionale di diritto e l’introduzione del giusto processo (art. 111 Cost., riformato nel 1999), si è posta con maggiore urgenza la questione della parità tra accusa e difesa e della terzietà del giudice.
Tra i precedenti significativi:
- Anni ’80–’90: il tema emerge nel contesto delle riforme post-Tangentopoli e dei dibattiti sulla giustizia penale accusatoria.
- Commissione Boato (1997): analizzò la possibilità di separare le carriere in relazione alla riforma del giusto processo.
- Proposte legislative periodiche, presentate da forze politiche di centro-destra, volte a modificare la struttura ordinamentale della magistratura.
- DDL Caselli e successive modifiche ordinamentali: pur restando nell’alveo dell’unitarietà, introdussero limiti ai cambi di funzione (come visto nella riforma Castelli del 2006–2007).
Cosa prevede la riforma Meloni sulla giustizia
Il Governo guidato da Giorgia Meloni ha presentato un disegno di legge costituzionale destinato a riformare profondamente l’ordinamento giudiziario. Il testo è stato depositato al Senato e successivamente assegnato alla Commissione Affari costituzionali, dove ha iniziato il suo iter parlamentare nel 2024.
I contenuti precipui della proposta sono i seguenti.
- Separazione delle carriere. Vale a dire che ogni magistrato dovrà optare, al momento dell’ingresso in ruolo, per la funzione giudicante o requirente, senza possibilità di transito successivo.
- Istituzione di due CSM separati: Un CSM per i giudici e uno per i P.M.
- Alta Corte disciplinare. Un nuovo organo indipendente e terzo per il giudizio disciplinare sui magistrati. Sarà composto da membri nominati in parte dai due CSM e in parte da figure esterne (professori universitari, avvocati).
Confronto con altri ordinamenti giuridici
La separazione delle carriere tra giudici e P.M. è già realtà in molti ordinamenti stranieri, ma non sempre rappresenta una garanzia di maggiore indipendenza del pubblico ministero. Anzi, in diversi sistemi, proprio la separazione ha comportato una più forte subordinazione all’esecutivo.
In Francia, giudici e P.M. seguono percorsi distinti, ma questi ultimi dipendono dal Ministero della Giustizia, che può impartire direttive anche su singoli procedimenti. La separazione, dunque, esiste formalmente, ma non si traduce in una reale autonomia dell’accusa.
In Germania, la distanza è ancora più netta: i P.M. sono organi del potere esecutivo, diretti dal Ministro della Giustizia, che può intervenire anche nell’azione penale. Il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, caro al sistema italiano, qui lascia spazio alla discrezionalità e al controllo politico.
Negli Stati Uniti, il P.M. è spesso una figura elettiva, nominata o votata, con ampi poteri discrezionali. La separazione dalle funzioni giudicanti è totale, ma l’autonomia reale è condizionata da logiche politiche, soprattutto a livello locale.
Anche in Spagna il P.M. è separato dal giudice, ma gerarchicamente strutturato e sottoposto all’indirizzo del Fiscal General del Estado, scelto dal governo.
In tutti questi casi, il P.M. – pur autonomo rispetto ai giudici – risulta più vulnerabile alle pressioni dell’esecutivo. Il modello italiano attuale, pur con una carriera unitaria, ha garantito finora un equilibrio costituzionale che tutela sia la terzietà del giudice che l’indipendenza dell’accusa. La riforma, se non accompagnata da adeguate garanzie, rischia di rompere questo equilibrio.
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