Ormai è scontro tra Luca Zaia e Andrea Crisanti: al centro c’è una indagine della Procura di Padova sull’utilizzo dei tamponi rapidi in Veneto durante la seconda ondata Covid.
Sono i tamponi - e più precisamente quelli rapidi prodotti dall’azienda americana Abbott - il casus belli del nuovo scontro tra il presidente del Veneto Luca Zaia e Andrea Crisanti, popolare microbiologo ora senatore del Partito Democratico.
A riaccendere la diatriba tra i due che, pur non essendosi mai amati hanno lavorato bene in Veneto durante la prima ondata del Covid, sono state delle intercettazioni diffuse dalla trasmissione Report dove, secondo Crisanti, Zaia avrebbe usato parole “molto gravi” che “testimoniano ancora l’intento intimidatorio nei miei confronti”.
Questa è l’intercettazione di Luca Zaia riportata da Report: “Sono qua a rompermi i coglioni da 16 mesi, stiamo per portarlo allo schianto e voi andate a concordare la lettera per togliere le castagne dal fuoco al Senato Accademico per sistemare Crisanti!”.
Crisanti ora starebbe valutando la rilevanza penale di queste parole, annunciando al tempo stesso il suo addio all’Università di Padova; sullo sfondo di questa vicenda c’è sempre l’indagine della Procura di Padova sull’utilizzo dei tamponi rapidi in Veneto durante la seconda ondata Covid.
I tamponi così, da arma del Veneto durante la prima ondata Covid, sono diventati in seguito il terreno dello scontro tra Luca Zaia e Andrea Crisanti.
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Il Veneto e i tamponi
Durante la prima ondata del Covid, sono stati versati fiumi d’inchiostro sul perché il Veneto avesse retto meglio rispetto alla Lombardia; deus ex machina di questo risultato è stato Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova a cui il presidente Luca Zaia ha affidato in quei mesi la gestione dell’emergenza sanitaria.
Il Veneto, a differenza della Lombardia, ha subito isolato i primi focolai puntando molto su un’ampia tracciatura dei contatti, con tamponi a tappeto e una riduzione al minimo dei contatti tra operatori sanitari e gli altri cittadini.
Il rapporto tra il professore e il presidente però si è incrinato poco dopo, con Andrea Crisanti che viene sostituito dal medico trevigiano Roberto Rigoli nella gestione della pandemia in Veneto.
Negli ultimi mesi del 2020 e nei primi del 2021 l’Italia viene investita dalla seconda ondata Covid, con il Veneto che però questa volta ha avuto molti più contagi e morti rispetto alla media nazionale.
Ed è qui che entrano in ballo i tamponi, visto che la Regione Veneto ha deciso in quel periodo di puntare tutto sui test rapidi, anche per gli operatori sanitari e per le Rsa, contrariamente alle indicazioni dell’Oms e della stessa Abbott che nel foglietto illustrativo sconsigliava l’utilizzo per lo screening. In più è stato ignorato anche uno studio a riguardo condotto dal professor Cristanti.
Entrando più nel dettaglio, alla base dello scontro tra Zaia e Crisanti c’è proprio l’articolo del microbiologo, pubblicato nell’ottobre 2020 su Nature ma la cui esistenza sarebbe stata smentita dalla Regione, che certificava l’inaffidabilità dei test antigenici rapidi per lo screening usato dal Veneto.
Lo scontro tra Zaia e Crisanti
Su cosa è successo in Veneto durante la seconda ondata Covid ha indagato la Procura di Padova che, questa estate, ha chiesto il giudizio per Roberto Rigoli e Patrizia Simionato, in quel periodo direttrice generale di Azienda Zero che si è occupata degli acquisti: le accuse sono di falso ideologico e turbata libertà di scelta del contraente.
Stando al bando di acquisto dei tamponi la sensibilità richiesta è dell’80%; per lo studio di Crisanti invece i test di Abbott si fermano al 70%, con il microbiologo che in quel periodo ha presentato un esposto a riguardo.
Per sintetizzare al meglio l’inchiesta sui tamponi da parte della Procura di Padova, è esemplificativo quanto scritto dal Corriere del Veneto.
Il 29 maggio 2021 Rigoli viene sentito dagli investigatori, e spiega che gli affidamenti diretti «sono stati portati a termine da Azienda Zero» in favore di Abbott e che «il sottoscritto è intervenuto solamente per valutare che fossero rispettati i requisiti di sensibilità e specificità indicati dalla Comunità Europea». E in quella «valutazione» sta il nodo di tutto. Perché è sulla base della presunta verifica sull’efficacia dei test condotta da Rigoli, che Azienda Zero a fine agosto 2020 approva l’acquisto diretto di 200 mila tamponi rapidi Abbott per un costo di 900 mila euro. E il 14 settembre 2020 ne ordina altri 280 mila, per 1,26 milioni di euro. Ma la procura è convinta che quella valutazione non sia mai stata fatta. Il 9 giugno 2021 Rigoli viene nuovamente sentito: dice di aver testato i tamponi rapidi su 92 pazienti entrati nel pronto soccorso di Treviso e promette di portarne le prove. In realtà il 30 giugno è costretto ad ammettere che non riesce più a trovare la documentazione. Ma il problema è un altro: per la procura il medico spiega di aver utilizzato quei tamponi tra il 2 e il 29 agosto 2020 (e inizialmente - salvo poi rimangiarsi tutto - lo conferma anche l’allora primario del pronto soccorso) ma i finanzieri convocano i referenti di Abbott che spiegano come «l’utilizzo e la commercializzazione in Italia» di quei test sia avvenuta «solo a far data dal 28 agosto 2020». Come poteva Rigoli averne a disposizione un centinaio già all’inizio del mese? Lui nega tutto ma da qui nasce l’accusa di depistaggio alla quale risponderà in un eventuale processo: per il medico e la dg Simionato il 6 febbraio riprenderà l’udienza preliminare.
In questo scenario è da iscrivere l’intercettazione di Zaia, con il presidente che come si legge su Startmag “ha sbottato a telefono con Roberto Toniolo, il direttore generale di Azienda Zero, per aver mandato all’aria il piano per distruggere l’immagine di Crisanti”.
Una ennesima puntata dello scontro tra Luca Zaia e Andrea Crisanti, in attesa che la giustizia faccia piena luce su cosa è accaduto in Veneto durante la seconda ondata Covid.
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