Finalmente è stato raggiunto il cessate il fuoco tra Israele e Palestina, ma non basta. La pace è ancora lontana, fintanto che Israele cercherà di mantenere il controllo sulla Striscia di Gaza.
È stato raggiunto il cessate il fuoco, ma la pace è ancora lontana per Gaza.
Dopo mesi di intense trattative e una scia di violenza devastante, è stato finalmente raggiunto un accordo per un cessate il fuoco tra Hamas e Israele. L’intesa, frutto della mediazione di Qatar, Stati Uniti, Egitto e Turchia, segna l’inizio però di una tregua temporanea che avrà inizio domani, domenica 19 gennaio 2025 alle ore 8:30.
Questo accordo arriva in un momento cruciale per la Striscia di Gaza, teatro di uno dei conflitti più prolungati e sanguinosi della storia contemporanea, aggravatosi ulteriormente a partire dal 7 ottobre 2023 e che ha mietuto oltre 46mila vite. Numeri così elevati che hanno spinto il Sudafrica a denunciare Israele per atti di genocidio
Con la tregua, milioni di civili palestinesi, intrappolati in condizioni umanitarie drammatiche, hanno potuto tirare un sospiro di sollievo e piangere di gioia, in particola modo i bambini che ora possono sperare in un ritorno ai giochi e alla loro infanzia. Con l’accordo cesseranno i bombardamenti che hanno devastato una regione che da anni vive sotto assedio e in costante stato di allerta.
Tuttavia, nonostante il clima di speranza che accompagna questo annuncio, il cessate il fuoco non è una soluzione definitiva. Si tratta piuttosto di un fragile punto di partenza, che lascia in sospeso molte questioni irrisolte, dalla situazione dei prigionieri alla ricostruzione di Gaza, fino alla definizione di una pace duratura. Di fronte a un simile quadro è importante capire cosa prevede l’accordo e perché la pace è ancora lontana da Gaza.
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Tregua Israele - Hamas: cosa prevede il cessate il fuoco
Il cessate il fuoco tra Israele e Hamas è stato accolto con lacrime di gioia da milioni di cittadini palestinesi e da quella parte della popolazione mondiale che dal 2023 protesta affinché la Palestina sia libera.
È importante fare una premessa prima di capire cosa preveda l’accordo tra le parti: con il cessate il fuoco non si parla della nascita di uno Stato palestinese, bensì di un ritiro delle forze militari israeliane, che è ben diverso dalla liberazione della terra degli ulivi. Il cessate il fuoco si articola in tre fasi:
- La Fase uno inizierà il 19 gennaio e stabilisce una tregua di 42 giorni durante i quali avverrà uno scambio di ostaggi: saranno liberati 33 ostaggi israeliani, tra cui anziani, donne, bambini e malati, in cambio del rilascio di circa 1.000 prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane. Questa fase prevede anche il ritiro progressivo dell’IDF da alcune zone della Striscia di Gaza, permettendo ai palestinesi di tornare nelle loro case nel Nord della regione, mentre aiuti umanitari aggiuntivi entreranno nel territorio.
- La Fase due dell’accordo, che dipenderà dall’esito della prima, prevede il rilascio degli ultimi ostaggi israeliani, inclusi i militari, e la liberazione di ulteriori detenuti palestinesi. Contestualmente, si attuerebbe il ritiro completo delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza.
- La Fase tre mira alla restituzione dei corpi degli ostaggi deceduti e all’avvio di un piano di ricostruzione della Striscia di Gaza sotto supervisione internazionale. Tuttavia, i dettagli di questo piano non sono ancora stati definiti e il suo successo dipenderà da un complesso equilibrio diplomatico.
Nonostante l’importanza dell’accordo, permangono forti dubbi sulla sua effettiva implementazione. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiarito che, qualora Hamas non rispettasse le condizioni di sicurezza stabilite, l’esercito israeliano riprenderebbe le operazioni militari con il pieno sostegno degli Stati Uniti. Una dichiarazione che mette in luce la fragilità del cessate il fuoco, che potrebbe infrangersi al primo segnale di crisi.
Perché il cessate il fuoco non rappresenta la fine della guerra a Gaza
Nonostante le speranze suscitate dal cessate il fuoco, è fondamentale fare uno distinguo: il cessate il fuoco - giuridicamente - è solo una tregua temporanea e non un negoziato di pace, in quanto rappresenta solo una pausa nei combattimenti e non affronta le cause profonde del conflitto.
Gaza, di fatto, pur con il ritiro delle truppe, rimarrebbe sotto assedio: il cessate il fuoco, quindi, non affronta le cause profonde del conflitto, come l’occupazione israeliana e il sistema di apartheid denunciate da molte organizzazioni per i diritti umani. Sebbene la popolazione palestinese celebri la tregua come un sollievo temporaneo, rimane sotto assedio e continua a subire gravi violazioni dei diritti fondamentali: una condizione che secondo il diritto internazionale costituisce un atto di guerra.
Il blocco imposto da Israele da anni è stato definito da esperti come Luis Moreno Ocampo, ex procuratore della Corte penale internazionale, un atto di genocidio. Inoltre, la devastazione causata dai recenti attacchi, con oltre 46.000 morti palestinesi dal 7 ottobre 2023, ha reso Gaza quasi inabitabile, un luogo in cui la ricostruzione, secondo l’Onu, potrebbe richiedere 350 anni: solo per raccogliere le macerie ci potrebbero volere 15 anni.
Ancora, la tregua non sancisce la nascita di uno Stato della Palestina, ma prevede - soprattutto nella “Fase uno” - il controllo israeliano sui corridoi strategici, come il corridoio di Philadelphia, e zone cuscinetto all’interno di Gaza: senza specificare l’ampiezza di queste aree con il rischio di avere una nuova “Cisgiordania 2” e l’espansione incontrollata di Israele.
In conclusione, senza una soluzione politica che includa la fine dell’assedio, il rispetto del diritto internazionale e la creazione di uno Stato palestinese indipendente, le violenze sono destinate a continuare. Il cessate il fuoco è solo un “punto e virgola” in un conflitto che dura da oltre un secolo: la pace è ben lontana dalla terra degli ulivi.
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