La diffusione del dato sul PCE Core, unitamente alla conferenza di Jerome Powell, ha nuovamente focalizzato l’attenzione delle borse sulle future decisioni di politica monetaria della Fed.
“Dove si indirizzeranno i tassi d’interesse nel 2024?” Questa è la domanda che preoccupa il pubblico degli investitori e che tiene sotto scacco le varie asset class di tutto il mercato finanziario. “L’economia è resiliente” - ed è questa la considerazione che, stranamente, preoccupa il mercato, portando alcuni esperti a escludere l’ipotesi di prossimi abbassamenti nei livelli dei tassi.
Tuttavia, non tutti sono convinti di questa osservazione; anzi, il mercato dei futures esprime una possibilità molto bassa (pari all’1%) che la Fed mantenga i tassi nel range attuale alla fine del 2024. Anche Powell stesso non esclude la possibilità di tagli nel corso dell’anno, e gli ultimi dati riguardanti il Core PCE Price Index sembrano indicare una stabilizzazione del tasso d’inflazione negli Stati Uniti, così come i recenti dati provenienti dalla Francia evidenziano una discesa lineare dei prezzi al consumo anche in alcune regioni d’Europa. Di fronte a queste considerazioni, cosa ha senso aspettarsi dalla politica monetaria dei Paesi occidentali e, di conseguenza, in che modo potrebbero reagire le borse a questa scelta?
Core PCE in linea con le aspettative, cosa aspettarsi dalla Fed e dalla Bce?
I recenti dati condivisi dalle varie agenzie di statistica internazionali forniscono un quadro economico particolarmente difficile da interpretare. Secondo le stime dell’S&P Global Rating, il Pil Usa a è previsto al +2,5% nel 2024, e i dati legati all’inflazione fino a ieri suggerivano uno scenario poco adatto per un abbassamento dei tassi. Ed è sulla base di queste considerazioni che le borse si sono mosse, scontando nei rendimenti dei titoli di debito una leggera, ma emotivamente significativa, crescita.
Una realtà che però, solo dopo poche settimane, sembra essere stata nuovamente essere messa in discussione da uno dei dati maggiormente valutati dalle banche centrali per impostare le proprie strategie di politica monetaria, il Core PCE, condiviso il 29 marzo, in contrazione rispetto al precedente 0,5%, e in linea con la previsione degli analisti, pari allo 0,3%. Questo, alimenta difatti la speranza da parte del pubblico borsistico di poter assistere già dal 2024 ai primi tagli dei tassi d’interesse. Un’evidenza, quest’ultima condivisa anche dai dati provenienti dalle agenzie di statistica europee, con la Francia che propone un tasso d’inflazione in contrazione - tornano ai livelli di minimo del 2021 - e che potrebbe stimolare la BCE a considerare, anche nelle prossime conferenze stampa, a mettere sul piatto il tema «taglio dei tassi».
Lo stesso Powell, presidente della Fed statunitense, ha, in occasione degli ultimi meeting, lasciato qualche indizio ai giornalisti, riguardo possibili tagli nel 2024, a differenza della presidente della BCE, Christine Lagarde, che altresì si è sempre mostrata più restia a divulgare certe aspettative, evidenziando una certa discordanza fra le dichiarazioni dei due banchieri centrali.
Cosa emerge dalla recente dichiarazione di Powell?
Durante la conferenza di Jerome Powell del 29 marzo sono emersi dei riferimenti interessanti, anche riguardo ai recenti dati economici. Il presidente ha delineato due linee di pensiero: ridurre i tassi troppo presto sarebbe dannoso, ma allo stesso tempo, aspettare troppo a lungo potrebbe arrecare danni all’economia e al mercato del lavoro. In sostanza, non ha escluso un taglio, ma non ha mostrato neanche particolare fretta nel farlo, esprimendo un forte interesse nel prendere comunque la giusta decisione, ma soprattutto nel farlo al momento opportuno.
Uno sguardo alle borse. Da cosa deriva questa fiducia da parte del mercato?
Uno sguardo di attenzione sarà rivolto all’indice dei prezzi al consumo di marzo, che sarà pubblicato il 10 aprile, ma nel frattempo, le borse sembrano aver scelto di proseguire la propria spinta al rialzo, mostrando molta fiducia verso le decisioni di politica monetaria delle banche centrali.
Non è ancora chiaro quale sarà la prossima mossa della Fed e della BCE, ma è chiaro che ai mercati azionari interessa poco, almeno fino a quando non si torni a mettere in discussione un eventuale “aumento dei tassi”, dato che le aziende finora hanno dimostrato di essere in grado di mantenere una struttura finanziaria solida e profittevole anche ai livelli attuali dei tassi, probabilmente grazie alla spinta arrivata con la popolarità dell’intelligenza artificiale. Questo fino alle prossime scadenze di massa del debito, previste per il 2025 e il 2026. In sostanza, il rischio potrebbe sorgere con l’instaurarsi di due scenari: torna l’ipotesi di un aumento dei tassi, oppure si consolida veramente l’idea di un «higher for longer», almeno fino alla fine del 2025.
Un occhio di maggior attenzione invece sembra dover essere rivolto nei confronti del comparto obbligazionario, sezione altresì legata proprio matematicamente alla dimensione e alle aspettative sulla dimensione dei tassi d’interesse.
I mercati dei futures sui tassi di interesse, però, non hanno dubbi riguardo alla direzione di fondo: la probabilità che i tassi chiudano il 2024 nell’attuale intervallo è inferiore all’1%; quindi, nonostante i recenti deprezzamenti delle obbligazioni, il mercato si aspetta almeno un abbassamento nel corso dell’anno. Se così fosse, con il progressivo concretizzarsi dell’idea di un abbassamento dei tassi nel corso dell’anno, le obbligazioni potrebbero tornare ad apprezzarsi, a fronte di un naturale decremento del tasso di rendimento delle stesse.
© RIPRODUZIONE RISERVATA