Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate scopre un finto lavoratore autonomo?

Ilena D’Errico

20 Luglio 2024 - 21:59

Ecco cosa succede se l’Agenzia delle Entrate scopre un finto lavoratore autonomo: perché effettua questo controllo e quali sono i rischi.

Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate scopre un finto lavoratore autonomo?

Quando si pensa alla partita Iva fittizia spesso la mente va subito a quei lavoratori formalmente autonomi che hanno in realtà un rapporto di subordinazione con quello che ufficialmente risulta un committente, ma che nei fatti si comporta come un datore di lavoro. In effetti, il fenomeno delle partite Iva false sta dilagando esponenzialmente, ma il controllo di questo fenomeno è tutto nell’interesse del lavoratore stesso.

In queste ipotesi, ammesso che sia accertata l’insussistenza del lavoro autonomo, il lavoratore viene tutelato dalle imposizioni del datore di lavoro (che si pone fittiziamente come cliente o committente) e non ha colpe particolari, ma può anzi avanzare diversi diritti in sede di giudizio. Avere una partita Iva falsa, tuttavia, può anche rappresentare una grave colpa per il finto lavoratore autonomo, che incorre in diverse conseguenze legali.

Tutto parte dagli accertamenti fiscali, perché è proprio da questi che è possibile rintracciare indizi di un’attività fittizia, che potrebbe nascondere illeciti di vario genere o, nella più lieve delle ipotesi, il tentativo di evadere le tasse. Ecco cosa succede se l’Agenzia delle Entrate scopre un finto lavoratore autonomo.

Il controllo dell’Agenzia dell’Entrate sulla partita Iva

Ci sono numerosi fenomeni, tutti contrari alla legge, che il Fisco cerca di contrastare con il serrato controllo dei lavoratori autonomi, in particolar modo nei tempi di recente apertura della partita Iva o in caso di anomalie nel pagamento dei tributi o del fatturato. Fra questi, assume particolare rilevanza il cosiddetto ghosting fiscale, quel fenomeno con cui vengono aperte e chiuse (magari solo restando sospese o inattive) dopo tempi brevi le posizioni, senza nel frattempo pagare quanto dovuto all’Agenzia delle Entrate.

Si parla in proposito anche di partita Iva “apri e chiudi” intendendo appunto la breve durata della stessa e una certa ripetizione nel meccanismo per eludere i doveri tributari, spesso servendosi dei cosiddetti “prestanome”, soggetti che si prestano all’apertura fittizia della partita Iva per conto di altri che non ne possiedono i requisiti.

Ci sono poi le cosiddette società cartiere, società che producono carte contabili (a fronte di un’attività nulla o irrisoria) per riciclare il denaro proveniente da attività illecite, talvolta mascherando gravi reati con scopo di profitto e altre volte al fine di non pagare i debiti fiscali o godere di agevolazioni immeritate. Per queste ragioni, l’Agenzia delle Entrate effettua un’analisi del rischio, basandosi su criteri che spaziano dall’attività di presunto svolgimento alla posizione fiscale del contribuente.

La valutazione segue controlli più approfonditi, compreso l’invito al contribuente affinché chiarisca la propria posizione.

Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate scopre un finto lavoratore autonomo

Se all’esito dei controlli l’Agenzia delle Entrate appura che la partita Iva è fittizia poiché si trova dinanzi a un finto lavoratore autonomo ordina come prima cosa la cessazione della partita Iva. La chiusura avviene d’ufficio, senza che il titolare possa opporsi perché preventivamente allertato e invitato a chiarire la propria posizione.

La cessazione dell’attività non è tutto, perché oltre al pagamento delle tasse dovute all’Agenzia delle Entrate si riceve una sanzione amministrativa dal valore di 3.000 euro. Tutto ciò insieme a una serie di limitazioni volte ad assicurare che in caso di futura riapertura della partita Iva il contribuente sia davvero affidabile.

Questo per quanto attiene il profilo fiscale, mentre il finto lavoratore autonomo dovrà rispondere comunque in altre sedi di eventuali illeciti o reati commessi attraverso la partita Iva fittizia, a seconda delle circostanze, per esempio il riciclaggio.

Si ribadisce che tutto ciò non riguarda il finto lavoratore autonomo considerato tale perché soggetto a un vincolo di subordinazione, che ha invece diritto a essere tutelato. Piuttosto il datore di lavoro, invece, sarà obbligato a corrispondere quanto dovuto per tutto il periodo che è stato equiparato al rapporto di lavoro dipendente.

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