Cosa succede se prendo troppi giorni di malattia?

Simone Micocci

18 Novembre 2024 - 18:51

Cosa rischia il lavoratore che fa troppe assenze per malattia? Ci sono conseguenze economiche e disciplinari.

Cosa succede se prendo troppi giorni di malattia?

Assentarsi per malattia, più precisamente nel caso in cui questa ne determini l’incapacità temporanea al lavoro nella mansione specifica, è un diritto del lavoratore dipendente, per quanto è bene non esagerare.

È importante sapere, infatti, che ci sono delle conseguenze per chi prende troppi giorni di malattia, per quanto sia bene quantificare: la normativa, infatti, fissa due diversi limiti per le assenze di questo tipo (che nella maggior parte dei casi coincidono) di cui uno interviene sulla parte economica e l’altro sulla prosecuzione del rapporto di lavoro.

Oggi infatti durante la malattia, il cui periodo di prognosi deve essere indicato nel certificato del medico, il lavoratore gode di una doppia tutela: il diritto a un’indennità sostitutiva dello stipendio e alla conservazione del posto di lavoro, con il divieto per l’azienda di licenziare chi è in malattia (eccetto quando sussistano ragioni economiche o disciplinari).

Tuttavia, chi fa troppe assenze per malattia perde queste tutele: la malattia viene pagata infatti entro un certo numero di giorni, così come il datore di lavoro può licenziare il dipendente che si assenta per un periodo molto lungo, anche non necessariamente continuativo.

È importante quindi sapere cosa succede se prendi troppi giorni di malattia, in modo da poter eventualmente ridurre le assenze alle giornate strettamente necessarie e non rischiare di esporti al rischio di ritrovarti senza stipendio e, ancora peggio, senza un lavoro.

Cosa rischia chi prende troppi giorni di malattia

Come anticipato, per fare chiarezza sulle conseguenze bisogna prima di tutto chiarire quando i giorni di malattia sono “troppi”. A tal proposito, il termine da tenere sotto osservazione è quello dei 180 giorni di assenza durante l’anno solare, non necessariamente continuativi.

Oltrepassata questa soglia, infatti, l’Inps cessa di riconoscere l’indennità di malattia, solitamente pari al:

  • 50% della retribuzione media giornaliera, dal 4° al 20° giorno;
  • 66,66% dal 21° al 180° giorno.

Ricordiamo poi che ci sono contratti collettivi che obbligano il datore di lavoro a integrare le suddette percentuali, al fine da riconoscere al dipendente un’indennità non molto più bassa dello stipendio solitamente percepito.

Sono circa 6 mesi l’anno però a essere indennizzati; superata questa soglia l’assenza per malattia, per quanto sempre giustificata, non viene retribuita.

E attenzione, perché solitamente 180 giorni di assenza nell’anno solare, non necessariamente continuativi, sono anche il termine del periodo di comporto, entro il quale il dipendente non può essere licenziato per le troppe assenze.

Superati i 180 giorni, invece, viene meno il diritto alla conservazione del posto di lavoro, con l’azienda che quindi potrà licenziare il dipendente motivando la propria decisione proprio per le eccessive assenze per malattia. Entro i 180 giorni, invece, il licenziamento può avvenire solo per ragioni economiche (ad esempio per cessazione totale dell’attività di impresa), come pure per giusta causa, come quando il lavoratore non mantiene un comportamento esemplare nel periodo di assenza.

Il rapporto fiduciario con il datore di lavoro

E attenzione, perché per quanto l’assenza per malattia rappresenti un diritto del lavoratore, abusarne rischia comunque di compromettere il rapporto di fiducia con la propria azienda.

Anche restando entro i 180 giorni, infatti, il datore di lavoro potrebbe tener conto dei molti giorni di assenza che avete preso quando ad esempio deve valutare chi promuovere, oppure a chi riconoscere un premio o un aumento di stipendio.

Specialmente quando la malattia è motivata da influenze stagionali e malanni di lieve entità, è quindi preferibile non esagerare per non rischiare di ritrovarsi in una situazione di svantaggio rispetto ad altri colleghi maggiormente stakanovisti. Questo non significa che non dovete prendere giorni di malattia quando necessario, ma solo di non abusare di questo diritto per approfittare di qualche giorno extra di riposo.

Ciò vale soprattutto nei casi di lavoratori assunti con contratto a termine: difficilmente infatti un datore di lavoro deciderà di assumere a tempo indeterminato un dipendente che si è dimostrato alquanto cagionevole. La normativa d’altronde tutela il lavoratore salvaguardandolo dal licenziamento per malattia entro i primi 180 giorni, ma nulla è previsto nel caso della trasformazione da determinato a indeterminato, dove la valutazione spetta interamente all’azienda.

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