Lo smart working, se usato in un’ottica non emergenziale, potrebbe avere ripercussioni positive sullo stipendio delle donne riducendo il gender pay gap secondo uno studio.
Lo smart working aumenta lo stipendio delle donne o meglio contribuisce a ridurre il gender pay gap. Ma cosa significa nel dettaglio?
Lo studio sullo smart working in rapporto allo stipendio delle donne è stato presentato alla Commissione Lavoro della Camera da Variazioni, società di consulenza specializzata in innovazione organizzativa e smart working.
La società è stata convocata in audizione in merito al processo di adozione da parte dell’Italia della direttiva europea per l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne e quindi nell’ottica della diminuzione del gender pay gap.
Per ridurlo, è questa la conclusione dell’analisi della società, la soluzione è il ricorso allo smart working, come d’altronde l’esperienza ci sta insegnando, determinando di fatto un aumento di stipendio. Il gender gap è infatti ancora una piaga del mercato del lavoro che penalizza le donne.
Vediamo, secondo l’analisi di Variazioni, in prospettiva dell’adozione della direttiva europea di cui diremo, come potrebbe aumentare lo stipendio delle donne e come si riduce quindi il gender pay gap.
Smart working: aumenta lo stipendio delle donne riducendo il gender pay gap
Lo smart working, secondo l’analisi di Variazioni, se usato in un’ottica non emergenziale, può contribuire ad aumentare lo stipendio delle donne riducendo il gender pay gap.
Variazioni ha basato la sua indagine raccogliendo i dati attraverso le interviste a oltre cinquantamila lavoratori e manager sottolineando che“ un lavoratore agile su 2 è donna ed esiste una forte correlazione tra adozione del lavoro agile, employability femminile, trasparenza ed equità retributiva.”
Con lo smart working, secondo l’analisi, lo stipendio delle donne aumenterebbe con una riduzione del gender pay gap perché, sempre in un’ottica di utilizzo del lavoro agile in modo strutturale, lo stesso può determinare una redistribuzione tra uomini e donne del lavoro di cura della famiglia e dei figli con due effetti:
- riduzione per le donne del ricorso al part-time e alle ferie forzate;
- aumento negli uomini la partecipazione al lavoro domestico e di cura.
Ma veniamo alla questione centrale dell’indagine e vale a dire che lo smart working funge da “equalizzatore retributivo, dato che il “tempo” lavorato non è più un fattore determinante per la retribuzione ma lo sono gli obiettivi.”
Lo smart working, secondo Variazioni, può aumentare la permanenza nel mercato del lavoro delle donne favorendone anche la crescita dal punto di vista della carriera.
Il motivo di questo cambio di passo, che ha inevitabilmente delle ripercussioni sullo stipendio delle donne, è dato proprio dalla maggiore conciliazione, grazie allo smart woking, tra famiglia e lavoro. Proprio la difficoltà della conciliazione porta le donne ad abbandonare il lavoro.
Lo smart working può favorire le donne nell’ottica del lavoro che non si basa più sulla quantità, e quindi sulla presenza, ma sulla qualità e gli obiettivi come già sottolineato.
“Lo smart working in questi mesi - ha dichiarato Arianna Visentini fondatrice e ceo di Variazioni a Il Sole 24 Ore - ha dimostrato l’inconsistenza di certi stereotipi che hanno finora penalizzato le donne. Ha cioè dimostrato che quantità non vuol dire qualità. Lavorando in smart working alcune prassi che finora hanno favorito soprattutto gli uomini come la permanenza in azienda, la fedeltà al capo non contano più: conta il risultato.”
Lo smart working potrebbe portare, nella direzione di una trasformazione che dovrebbe avvenire anche con il ricorso all’adozione della direttiva europea, a una svolta per la retribuzione delle donne e il superamento del divario salariale tra i sessi.
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Smart working e gender pay gap: la direttiva europea
Abbiamo detto della direttiva europea per il superamento, con lo smart working come soluzione suggerita da Variazioni, del gender pay gap negli Stati membri e in Italia.
La Commissione europea aveva già annunciato l’adozione di misure vincolanti sulla trasparenza retributiva nella Strategia per la parità di genere 2020-2025, e pertanto ha presentato il 4 marzo 2021 una proposta di direttiva “volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore” come si legge nel documento della Camera dei Deputati Ufficio rapporti con l’Unione europea.
La direttiva propone:
- una maggiore trasparenza retributiva/salariale per i lavoratori e i datori di lavoro;
- un migliore accesso alla giustizia per le vittime di discriminazioni retributive.
Per quanto riguarda il primo punto la direttiva propone la maggiore trasparenza al fine di prevedere che:
- i datori di lavoro forniscano informazioni alle persone in cerca di lavoro sul livello - o l’intervallo - retributivo iniziale, nell’annuncio del posto vacante o prima del colloquio di lavoro, e non chiedano ai potenziali lavoratori informazioni sulle retribuzioni precedentemente percepite;
- i lavoratori abbiano il diritto di chiedere informazioni al proprio datore di lavoro sul loro livello di retribuzione individuale e sui livelli salariali medi, ripartiti per sesso, per le categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore;
- i datori di lavoro con almeno 250 dipendenti rendano pubbliche all’interno della loro organizzazione informazioni sul divario retributivo tra lavoratrici e lavoratori ed effettuino una valutazione delle retribuzioni, in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori, qualora emerga un divario retributivo di genere di almeno il 5% non giustificabile in base a fattori oggettivi neutri dal punto di vista del genere;.
Il miglior accesso alla giustizia per le vittime di discriminazioni retributive è previsto in particolare al fine di prevedere che:
- i lavoratori che hanno subito discriminazioni retributive di genere possano ottenere un risarcimento, compreso il recupero integrale della retribuzione arretrata e dei relativi premi o pagamenti in natura;
- l’onere della prova circa l’insussistenza della violazione del principio della parità di retribuzione spetti alla parte convenuta (datore di lavoro);
- gli Stati membri introducano sanzioni specifiche per le violazioni della norma sulla parità retributiva, compreso un livello minimo di ammende;
- gli organismi per la parità e i rappresentanti dei lavoratori possano agire in procedimenti giudiziari o amministrativi per conto dei lavoratori e condurre azioni collettive sulla parità di retribuzione.
Si legge nel documento della Camera:
“La proposta, che si applica ai datori di lavoro del settore pubblico e privato e a tutti i lavoratori, non impedisce ai datori di lavoro di retribuire in modo diverso chi svolge lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore sulla base di criteri oggettivi, neutri sotto il profilo del genere (considerando 10).”
La direttiva contro il gender pay gap per la trasparenza ed evitare fenomeni di discriminazione salariale nasce dal momento che, sebbene la parità retributiva tra i sessi per uno stesso lavoro e stessa mansione o valore sia un principio fondamentale su cui dovrebbero basarsi tutti gli Stati UE la sua applicazione è ancora lontana dal realizzarsi in modo soddisfacente.
Il dato sul divario retributivo di genere (gender pay gap) nell’UE evidenzia che le donne guadagnano in media il 14,1% in meno all’ora rispetto agli uomini (dato Eurostat per il 2019).
Si legge sempre nel documento della Camera:
“Il differenziale tra retribuzioni, che si amplifica se si considera il divario retributivo complessivo di genere (v. infra), determina ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, le espone a un maggiore rischio di povertà e perpetua il divario retributivo pensionistico (gender pension gap), che è addirittura pari al 29% nell’UE (dato Eurostat per il 2019).”
Una svolta per lo stipendio delle donne e i diritti potrebbe arrivare con la direttiva e l’utilizzo strutturale dello smart working come Variazioni suggerisce.
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