Dopo più di due anni dall’inizio della pandemia da Covid-19 inizia ad arrivare il tempo dei bilanci: economici e politici. Quali sono stati gli Stati che hanno gestito meglio la crisi?
Nel sondaggio Axios/Ipsos del 13 aprile il 17% degli americani ha detto che il Covid-19 “non è un problema”, il 73% lo considera “un problema maneggiabile” e solo il 9% lo definisce “una crisi” (l’1% non ha risposto). Il 37% degli adulti ha aggiunto che è tornato alla vita normale e due su tre (65%) hanno visitato amici e parenti e sono andati al ristorante nella settimana del sondaggio. L’ultima variante Omicron BA.2 diffonde ancora il morbo, soprattutto nel Nord-Est (Filadelfia, Washington DC, New York) ma i ricoveri sono stabilmente bassi, e i morti mosche bianche. Al numero dei vaccinati si somma quello degli immunizzati del gregge crescente dei malati, ed è bello che si possa pensare che per la pandemia sia finalmente arrivato il tempo dei bilanci, anche politici.
Domanda chiave: come hanno inciso le diverse iniziative politiche dei diversi governatori nel combattere il coronavirus e nel proteggere la cittadinanza sul piano sanitario, economico, educativo? Uno studio a cura del Comitato per Liberare la Prosperità (Commettee to Unleash Prosperity) ha dato i voti alle misure prese dalle 51 amministrazioni locali (i governatori dei 50 Stati più il Distretto di Columbia della capitale Washington) nella gestione della crisi sotto i tre aspetti fondamentali: il tasso di mortalità, la performance economica e l’impatto sulle scuole e l’educazione.
I tre economisti che animano il comitato sono Steve Forbes, editore della omonima rivista di orientamento conservatore, Arthur Laffer, ex consigliere di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher e professore alle università di Chicago e della California del Sud, e Steve Moore, fondatore del Club 4 Growth, membro della Heritage Foundation e giornalista del Wall Street Journal. Sono dichiaratamente conservatori, ed hanno passato al setaccio le misure dei governatori Democratici e Repubblicani con l’intento di valutare la validità delle politiche pro libero mercato, e in generale pro libertà individuale, nella gestione concreta della vita pubblica. Fatti alla mano, i risultati hanno confermato la efficacia pratica delle loro convinzioni ideologiche, visto che il Gop esce benissimo nella classifica. All’opposto, i paladini del dirigismo statale, ossia i governatori Democratici che hanno propugnato il massimo dei controlli e delle restrizioni più a lungo, si trovano sul fondo della graduatoria.
Nelle prime 12 posizioni ci sono 11 Stati retti da governatori Repubblicani: il più “di successo” di tutta America è lo stato dello Utah (1, il primo), seguito da Nebraska (2), Vermont (3), Montana (4), Sud Dakota (5), Florida (6), New Hampshire (7), Maine (8, il solo Stato nella dozzina virtuosa con una governatrice Democratica, entrata in carica nel 2019), Arkansas (9), Idaho (10), Iowa (11), Sud Carolina (12).
Partendo dal fondo, lo Stato con la performance “anti-Covid” peggiore di tutti è il New Jersey (al 51esimo posto). Lo precedono il Distretto di Columbia-Washington (50), il New York State (49), il Nuovo Messico (48), la California (47), l’Illinois (46), il Maryland (45), il Nevada (44), il Connecticut (43), la Pennsylvania (42), il Massachusetts (41), il Michigan (40), le Hawaii (39), il Delaware (38). Tutti questi 14 Stati in coda alla graduatoria sono in mano ai Democratici. (Il partito di Biden, negli Usa, conta in tutto 22 governatori (più il Distretto di Columbia), contro i 28 governatori Repubblicani).
Dalla classifica complessiva emerge nettamente, ha spiegato Steve Moore al New York Post, che “chiudere interamente le loro economie e le scuole è stato di gran lunga l’errore più grosso che i governatori e i funzionari statali hanno commesso durante il Covid, in particolare negli Stati blu (Democratici)”.
Caso eclatante è quello di New York, il cui governatore Andrew Cuomo era stato osannato come il miglior leader nella gestione della crisi, al punto che per qualche mese era stato indicato come l’ideale rappresentante del partito Democratico da opporre a Donald Trump nel novembre 2020. “Sotto ogni aspetto, New York ha registrato una pessima performance”, ha rilevato lo studio, che ha parimenti bocciato altri Stati “blue” importanti, dal New Jersey alla California all’Illinois, con questo commento: ”Hanno presentato il più alto tasso di morti aggiustato per l’età. Hanno avuto una alta disoccupazione e significative perdite del prodotto interno lordo. Hanno tenuto le loro scuole chiuse più a lungo che in quasi tutti gli altri Stati”.
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In dettaglio, lo studio ha rilevato che gli Stati che hanno chiuso i business, le chiese, le scuole e i ristoranti per lunghi periodi non hanno avuto tassi di mortalità più bassi. La Florida, il cui governatore repubblicano Ron DeSantis è stato il primo a “liberare” l’economia, le scuole e le spiagge dal lockdown, si è piazzata al 28esimo posto per mortalità, davanti alla California che è stata tra gli ultimi a farlo ed è al 27esimo posto.
Gli autori della ricerca hanno notato che “gli Stati che hanno sbarrato le loro economie hanno un tasso di disoccupazione in media che è più alto di due punti rispetto agli Stati che non l’hanno fatto”. New York è al 33esimo posto per il minore impatto negativo sulla educazione e al penultimo per la sua performance economica. La Florida è al terzo posto per il minore impatto negativo sulla educazione e al 13esimo per la sua performance economica.
Lo studio è stato compiuto, come detto, da economisti conservatori. Ma una conferma è venuta da un giornalista progressista del New York Times, David Leonhard, favorevole alle maschere. Con un certo sconcerto, il mese passato, ha notato che malgrado le maschere, le chiusure scolastiche, la paura di trovarsi insieme siano molto più diffuse nella America Democratica, “a livello nazionale il numero di casi ufficiali di Covid è stato in qualche misura più elevato nelle aree pesantemente Democratiche rispetto che nelle aree Repubblicane”.
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