Dopo la strage in mare a Crotone, con 59 morti e 80 superstiti, ci si interroga sul perché la Guardia Costiera sia intervenuta con ritardo. Facciamo chiarezza da chi dipenda la Guardia Costiera.
La strage a 100 metri dalle coste di Steccato di Cutro si sarebbe potuta evitare se gli interventi fossero stati tempestivi. È questo ciò che emerge dalle ultime dichiarazioni del comandante della capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi, eppure a oggi si contano ben 68 morti, di cui solo 56 sono stati identificati.
Le responsabilità del naufragio del barcone carico di migrante non sono ancora chiare. La procura di Crotone, guidata da Giuseppe Capoccia, ha aperto un fascicolo sul naufragio, e oltre ad aver già individuato alcuni scafisti, ha anche acquisito le comunicazioni tra le autorità per capire se e quali sono stati gli ostacoli nelle operazioni di salvataggio.
Ciò che è certo è che Frontex ha smentito la prima versione della Guardia costiera - che accusava la Guardia di Finanza di aver ingiunto alle motovedette di non uscire in mare - affermando che la Finanza avrebbe in realtà provato a ottenere un intervento congiunto, senza successo.
Solo pochi giorni fa, il comandante Aloi ha spiegato che la Guardia costiera sarebbe stata in grado di intervenire, ma che la ragione del mancato intervento sono da ricercare nei “piani operativi” e negli “accordi ministeriali”.
Gli interventi della Guardia Costiera risultano effettivamente essere bloccati in un “limbo” di procedure burocratiche tra due ministeri. Davanti a una simile tragedia è quindi quanto mai necessario comprendere da chi dipenda la Guardia Costiera.
Da chi dipende la Guardia Costiera?
Mentre il governo tace - al di là delle frasi di cordoglio - sulle possibili ed eventuali responsabilità di questa strage in mare, è quanto mai necessario capire quali sono i meccanismi e chi muove i fili degli interventi della Guardia Costiera. E tornano in aiuto le inchieste portate avanti da Domani.
I motivi del mancato intervento tempestivo andrebbero, infatti, rintracciati nella catena di comando. La Guardia Costiera dipende ufficialmente dal ministero dei Trasporti, guidato dal leader della Lega, Matteo Salvini. Ma non è così semplice. Infatti, a decidere in determinate procedure è un’articolazione del Ministero dell’Interno, il quale stabilisce quale sia il porto da assegnare per lo sbarco o nel caso in cui l’imbarcazione non dia l’S.o.s - come accaduto con l’imbarcazione naufragata vicino Crotone.
Ecco, quindi, che la macchina burocratica dietro agli interventi si complica a causa di questo modello co-decisionale. Come spiegato nell’editoriale di Domani, infatti, il Ministero dei Trasporti delega al Viminale il potere di gestire eventi migratori sui quali interviene la Guardia costiera, le cui capitanerie devono avallare la decisione dell’Interno.
Guardia Costiera e strage di Crotone: cosa è accaduto?
Di fronte a una macchina burocratica così articolata, torna in aiuto una ricostruzione fornita da fonti investigative. Stando ai dati raccolti, Frontex aveva allertato già 23 ore prima le autorità della presenza di un barcone nelle acque del Mar Ionio.
Stando a quanto sostenuto dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il 31 marzo in commissione Affari costituzionali alla Camera, Frontex aveva sì segnalato un’imbarcazione ma non in “situazioni pericolose o di stress a bordo, evidenziando la presenza di una sola persona sopra coperta e altre sotto coperta e una buona galleggiabilità”. Ragione più che valida, agli occhi del ministro, di non inviare alcuna motovedetta per effettuare un salvataggio.
Parole smentite dall’ammiraglio ispettore capo responsabile del Comando generale delle capitanerie di porto al ministero dei Trasporti, Nicola Carlone, il quale già nel 2017 aveva spiegato che la sola presenza di imbarcazioni non stabili con circa un centinaio di persone a bordo costituisca motivo di intervento.
Il problema - o cavillo burocratico - individuato dall’analisi del giornale Domani, è appunto la decisione di classificare la situazione come operazione di polizia di frontiera “coinvolta nel traffico di migranti” e non come salvataggio in mare.
Di conseguenza, a tentare di raggiungere l’imbarcazione sono state due motovedette della Guardia di finanza, non la Guardia costiera in un’operazione Search and rescue (Sar).
Certamente, in tale quadro è opportuno inserire anche il decreto firmato dal governo Meloni contro le Ong che di fatto limita le possibilità di salvare vite umane in mare. Nel decreto si delinea un “codice di condotta”, dove si impone uno stop al “trasferimento” dei naufraghi da navi più piccola a una nave più grande per continuare a operare altri soccorsi, e uno stop ai soccorsi multipli - a meno che non siano stati richiesti dalle autorità della zona Sar. Segnale molto forte di quale sia la reale direzione dell’attuale governo.
Probabilmente siamo di fronte a una tragedia che si sarebbe potuta evitare soprattutto se si fosse privilegiata la missione di salvataggio piuttosto che quella della polizia.
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