Per decenni sinonimo di efficienza e qualità, oggi l’automotive nipponica deve fare i conti con gli scandali interni e la concorrenza cinese.
C’era una volta l’automotive giapponese, per decenni sinonimo di efficienza, costi contenuti e alta qualità di rendimento. I clienti occidentali erano ben felici di potere guidare automobili funzionali ma al tempo stesso avveniristiche. Quella stagione potrebbe essere diventata un lontano ricordo. Già, perché l’industria automobilistica del Giappone deve oggi fare i conti con due enormi problemi.
Il primo coincide con l’ascesa sui mercati internazionali di un rivale temibile, la Cina, che si appresta a diventare il principale esportatore mondiale di automobili su base annua per la prima volta nella storia. Il secondo, altrettanto grave, riguarda invece lo scandalo Daihatsu, costretta a sospendere la produzione dopo aver ammesso di aver falsificato i dati su alcuni modelli per più di 30 anni. Non il primo scandalo del genere, ma soltanto l’ultimo di una lista che sta ormai iniziando ad essere troppo lunga.
I guai dell’automotive del Giappone
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