Dal Regno Unito alla Germania, è guerra al dissenso

Roberto Vivaldelli

23/08/2024

Dalla repressione sui social nel Regno Unito dopo le rivolte anti-immigrazione alle perquisizioni senza mandato in Germania: è guerra al dissenso.

Dal Regno Unito alla Germania, è guerra al dissenso

Dal Regno Unito alla Germania passando per l’Unione europea (vedi Thierry Breton contro Elon Musk), le democrazie liberali occidentali hanno dichiarato guerra al «free speech». Da un punto di vista filosofico, questa svolta autoritaria si basa su una visione (distorta) del filosofo liberale Karl Popper: «Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti; se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi». Tuttavia, l’intento del filosofo non era certo quello di una limitazione o repressione delle opinioni, come purtroppo rischia di accadere in Europa.

La repressione nel Regno Unito dei laburisti

Il 29 luglio, nel Regno Unito, manifestanti infuriati sono scesi in piazza nella cittadina costiera britannica di Southport e presso la residenza ufficiale del primo ministro del Regno Unito Keir Starmer dopo che un accoltellamento ha causato la morte di tre persone. Tre bambine di 6, 7 e 9 anni sono state uccise in un accoltellamento durante una sessione di danza e yoga a tema Taylor Swift per bambini a Southport. Sono rimasti feriti anche otto bambini e due adulti. Al centro delle proteste c’era la convinzione errata che il sospettato, identificato come Axel Rudakubana, 17 anni, nato a Cardiff da genitori ruandesi, fosse un immigrato musulmano arrivato illegalmente nel Paese con un barcone, colpa anche di un giudice che ha maldestramente diffuso il nome dell’indagato. La lotta alla disinformazione è andata decisamente oltre: oltre agli estremisti di destra, infatti, anche le persone che hanno diffuso contenuti che «incitano all’odio online» sono state condannate dai tribunali inglesi a pene severissime. C’è anche chi è stato condannato per un semplice «retweet», ovvero aver condiviso un contenuto scritto da un altro utente. [...]

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