Dopo Paola Taverna e Vito Crimi, anche Luigi Di Maio avrebbe trovato una collocazione dopo il flop alle elezioni: alla fine saremo sempre noi a pagare i loro stipendi.
Cosa hanno in comune Luigi Di Maio, Paola Taverna e Vito Crimi? Di certo tutti e tre sono, o sono stati, dei big del Movimento 5 Stelle, assoluti protagonisti degli ultimi dieci anni della vita politica del nostro Paese.
Tutti e tre inoltre dopo le elezioni dello scorso 25 settembre non sono più parlamentari: Taverna e Crimi non sono stati ricandidati dai 5 Stelle in virtù del raggiungimento del limite dei due mandati, mentre Di Maio ha perso nel suo collegio uninominale di Napoli con la sua lista, Impegno Civico, che non ha superato la soglia di sbarramento del 3% fermandosi a un deludente 0,6%.
Da quel momento molto si è parlato del futuro di quei grillini della prima ora che, per un motivo o per un altro, hanno dovuto dire addio adesso alla bambagia parlamentare; soprattutto su Luigi Di Maio, che dopo la scoppola elettorale ha lasciato Impegno Civico trincerandosi dietro un eloquente silenzio, sono state molte le voci a circolare sul suo conto.
Adesso però per questo trio sembrerebbe essere arrivato un lieto fine lavorativo, con il loro stipendio che dovrebbe essere pagato dai contribuenti italiani (Taverna e Crimi) oppure comunitari (Di Maio).
Il nuovo incarico di Di Maio
Dopo aver mancato la rielezione alla Camera, Luigi Di Maio ha chiuso i suoi social non rilasciando più delle dichiarazioni pubbliche; dopo aver rotto con il Movimento 5 Stelle, il suo Impegno Civico che alle elezioni si è presentato insieme al Pd, alla fine non è andato oltre lo 0,6%.
I giornali così hanno iniziato a immaginare per il fu capo politico del Movimento 5 Stelle un futuro da lobbista, un modo questo per poter sfruttare i contatti che ha creato specie durante la sua esperienza da ministro degli Esteri.
Il periodo passato alla Farnesina invece è diventato molto utile per un altro incarico: stando all’Ansa, il panel dei tecnici indipendente che ha ricevuto mandato dall’Ue di selezionare l’inviato speciale europeo nel Golfo Persico, ha indicato proprio Luigi Di Maio quale miglior candidato della quaterna sottoposta ora a Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue.
Sarà ora Josep Borrell a decidere se nominare o meno Luigi Di Maio, l’inviato speciale infatti risponde direttamente all’Alto rappresentante, ma l’ex ministro sembrerebbe avere ottime chance forte anche di una sussurrata “sponsorizzazione” da parte di Mario Draghi.
Quanto al possibile stipendio il Corriere della Sera parla di 12.000 euro netti al mese oltre alla “copertura di tutte le spese, staff compreso”; inoltre l’ex ministro otterrebbe “lo status di diplomatico con relativi passaporto e immunità”.
Taverna e Crimi
Avrebbero trovato già una sistemazione invece Paola Taverna e Vito Crimi, due pentastellati della prima ora che nonostante la non ricandidatura alle elezioni politiche hanno deciso, senza far polemica, di restare nell’alveo del Movimento 5 Stelle.
Nelle ultime ore infatti avrebbe trovato conferma la voce che vorrebbe i due assunti come consulenti in Parlamento per i 5 Stelle; stando al Corriere della Sera, per loro ci sarebbe uno stipendio da 3.000 euro netti al mese.
Sempre il Corriere poi ci ha raccontato di una sorta di “stratagemma” contenuto nell’ultimo Bilancio dell’Ufficio di presidenza della Camera, deliberato quando sullo scranno più alto di Montecitorio c’era il grillino Roberto Fico.
Dopo la riforma del taglio dei parlamentari, fortemente voluta dal Movimento e che ha portato a una sforbiciata di un terzo degli onorevoli, il quotidiano scrive che “nel Bilancio veniva scritto che la Camera continuerà a percepire 943 milioni di euro anche nel 2023 e nel 2024”; una cosa strana “visto che il taglio di 230 seggi dovrebbe portare a una diminuzione dei finanziamenti, che sono soldi dei contribuenti”.
Se alla Camera prima della riforma ogni gruppo riceveva 49.000 euro l’anno per ogni deputato, ora invece dopo la sforbiciata ne riceve 77.000: per il Movimento 5 Stelle vuol dire un tesoretto da 4 milioni l’anno.
Se Paola Taverna e Vito Crimi hanno trovato un posto come consulenti, la stessa sorte stando a Repubblica non è toccata a venti storici collaboratori dei pentastellati che invece sarebbero stati lasciati a casa.
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