Digital Services Act: cos’è, come funzionerà, quando ci sarà

Dario Colombo

26/04/2022

La mano dell’Europa arriva sulle grandi piattaforme digitali: cosa dice il regolamento per far dire ad Amazon, Facebook e Google tutta la verità online e per tutelare i diritti

Digital Services Act: cos’è, come funzionerà, quando ci sarà

Come noto, venerdì 22 aprile si concluso il lungo iter, iniziato due anni fa (la “prima pietra” fu posta il 15 dicembre del 2020), che ha portato alla nascita del Digital Services Act, evento da tutti salutato come la via europea per un utilizzo di Internet più regolato, sicuro, controllato, in cui gli utenti possano fidarsi di ciò che gli viene proposto e di ciò che leggono e le aziende possano avere condizioni di parità.

Proposto dalla Commissione europea nel programma 2020, il DSA è complementare al Digital Markets Act, DMA, ossia il regolamento che dovrà mettere ordine nei mercati digitali europei.

Chi lo ha deciso, quando entrerà in vigore?

Come ogni iter normativo europeo richiede quando si redigono i regolamenti (che, lo ricordiamo, a differenza delle direttive vengono sempre proposti dalla Commissione europea, ma una volta approvati da tutte le istituzioni e pubblicati in Gazzetta Ufficiale Europea diventano direttamente operativi nel territorio della UE e non necessitano che i singoli parlamenti nazionali li traducano in legge del singolo Stato), un ruolo centrale lo hanno il Parlamento europeo e il Consiglio UE, ossia, i rappresentanti del popolo, eletti democraticamente, e i rappresentanti dei governi attualmente in carica, in base al principio cosiddetto della co-decisione.

Quindi lo scorso venerdì è accaduto questo: le commissioni di negoziatori incaricati del Parlamento e del Consiglio hanno raggiunto un accordo politico provvisorio su testo definitivo del Data Services Act.

Il termine accordo provvisorio non è utilizzato per un eccesso di cautela, ma è lo stato di diritto attuale, anche se molti sono portati a considerare il regolamento come cosa fatta.

Il testo dovrà infatti essere finalizzato a livello tecnico e verificato tanto da giuristi quanto da linguisti.
Dopodiché il Parlamento europeo e il Consiglio UE daranno la loro approvazione formale del testo definitivo.

Una volta completata questa procedura, il Regolamento entrerà in vigore venti giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale Europea e le regole inizieranno a essere applicate quindici mesi dopo.
Quindi se non ci saranno intoppi è stimabile che per la fine del prossimo anno si possa veder applicato il regolamento.

Che ne pensano nella Silicon Valley?

Intanto, il mese prossimo per una settimana, dal 23 al 27 maggio, una delegazione della Commissione per il mercato interno del Parlamento europeo sarà in missione negli Stati Uniti, ossia dove ci sono i quartier generali della aziende che sono oggetto principale delle attenzioni del Digital Services Act, per capire come la pensano.

I parlamentari saranno in visita presso Apple, Google, Meta (ossia Facebook, Instagram e WhatsApp), per presentare il regolamento Digital Services Act, e insieme anche le altre iniziative legislative per lo spazio digitale, e per sentire cosa ne pensa la corporate America e come lo vivono tanto le startup della Silicon Valley, notoriamente più avanti rispetto al mercato (e nelle quali lavorano molti europei oltre che italiani), quanto le università, che lavorano in simbiosi con le stesse aziende.

Uno spazio digitale più affidabile

In attesa che si compiano tutte le verifiche necessarie per arrivare al testo che Parlamento europeo e Governi approveranno, vediamo di capire su cosa verte il complesso del regolamento.

Gli assi si cui si muove sono tre: aumentare la responsabilità delle piattaforme digitali, mettere al bando a mistificazioni e disinformazione, creare più sicurezza per gli utenti.

Iniziamo dalla responsabilità.

Con le nuove regole le piattaforme digitali come i social media e i mercati online dovranno adottare misure per proteggere gli utenti da contenuti, beni e servizi illegali.

Fra queste ci sono le misure, molto concrete, della rimozione rapida dei contenuti illegali online, compresi prodotti e servizi. Questo avverrà sulla base di una procedura cosiddetta di “notifica e azione” più chiara rispetto al passato. In base a questa procedura gli utenti potranno segnalare i contenuti illegali e le piattaforme digitali dovranno agire rapidamente per rimuoverli.

Parimenti le piattaforme che fanno commercio online dovranno assicurare agli utenti l’acquisto di prodotti o servizi sicuri, rafforzando i controlli sull’affidabilità delle informazioni fornite dai commercianti, applicando il principio "Know Your Business Customer” (quello che Amazon ha già adottato) ed evitando che contenuti illegali appaiano sulle proprie piattaforme.

Va data anche protezione alle vittime di violenza informatica, soprattutto per quanto riguarda la condivisione non consensuale di contenuti, come avviene nel la fattispecie del revenge porn, attività soggetta a rimozione immediata.

Su un piano più alto, politico-istituzionale, si parla di protezione dei diritti fondamentali online, stabilendo garanzie più forti per assicurare che tali notifiche siano utilizzate in modo non arbitrario e non discriminatorio e nel rispetto dei diritti fondamentali, tra cui la libertà di espressione e la protezione dei dati.

Cosa rischiano le piattaforme digitali

Le piattaforme digitali e i motori di ricerca che non osserveranno il regolamento potranno essere multati fino al 6% del loro fatturato mondiale.

Per quelle di grandi dimensioni, ossia con più di 45 milioni di utenti, toccherà alla Commissione europea, ossia l’organo esecutivo UE, chiedere l’osservanza delle norme.

Gli utenti avranno il diritto di chiedere un risarcimento per qualsiasi danno o perdita subita a causa di violazioni delle norme da parte delle piattaforme.

Le Pmi, invece, avranno più tempo per conoscere le nuove regole mettersi in regola e la Commissione europea in questo caso vigilerà da vicino gli effetti della nuova normativa sulla loro attività. Il motivo va ricercato nel ruolo primario che l’UE assegna alle Pmi nella transizione digitale europea.

In questo scenario si staglia anche quella che viene identificata come responsabilità algoritmica, e che sottende al fatto che in base al Digital Services Act la Commissione europea e i Paesi europei avranno accesso agli algoritmi delle grandi piattaforme digitali. Novità non da poco, che giustifica tra l’altro la missione che gli europarlamentari condurranno nella Silicon Valley e sulla quale i contorni sono ancora sfumati, anche dal punto di vista tecnico (tema sul quale money.it sta conducendo un’inchiesta).

Mistificazioni e disinformazione

Con l’entrata in vigore del Digital Services Act le piattaforme digitali di grandi dimensioni dovranno rispettare obblighi più severi, proporzionati ai significativi rischi sociali che comportano quando diffondono contenuti illegali e dannosi, compresa la disinformazione.

Ciò significa che Google & Co. dovranno valutare e mitigare i rischi e sottoporsi a verifiche indipendenti ogni anno.
Nel momento in cui dovesse verificarsi una minaccia alla sicurezza pubblica o alla salute, la Commissione potrà richiedere, per tre mesi, che le grandi piattaforme limitino qualsiasi rischio nel proprio spazio.

Inoltre, le piattaforme che usano i sistemi di recommendation, ossia che utilizzano gli algoritmi che determinano cosa vedono gli utenti, praticamente tutte, dovranno fornire almeno un’opzione di scelta che non sia basata sulla profilazione.

Risultato: un mondo digitale più sicuro

Da questi obblighi tesi alla trasparenza e alle opzioni non profilate dovrebbero risultare contenuti generalmente più sicuri e convincenti per utenti.

Ne consegue che avranno un miglior controllo su come vengono utilizzati i dati personali.
La pubblicità mirata sarà vietata nel caso di piattaforme accessibili ai minori e quando si vanno a toccare dati sensibili come etnia, religione e orientamento sessuale.

Viene vietata anche la manipolazione delle scelte degli utenti attraverso i cosiddetti dark pattern, ossia le interfacce utente realizzate per indurre gli utenti a un’azione, come acquistare ricorrentemente un bene/servizio o dando risalto a una scelta, o
ancora sollecitando l’utente a cambiare la propria selezione tramite un pop-up.

Le piattaforme digitali e i mercati online non dovranno indurre le persone a utilizzare i loro servizi e cancellare l’abbonamento a un servizio dovrà essere facile esattamente come sottoscriverlo.

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