Disapplicazione delle norme: quando i giudici possono ignorare la legge

Giorgia Dumitrascu

31/03/2025

Il potere dei giudici di disapplicare norme ritenute in contrasto con la Costituzione o il diritto europeo: ecco una guida completa.

Disapplicazione delle norme: quando i giudici possono ignorare la legge

In Italia non basta che una legge sia in vigore per essere sempre applicabile. Lo dimostrano due nomi che hanno fatto discutere, dai palazzi della politica ai talk show: la Legge Severino e la Legge Calderoli. La prima ha fatto saltare poltrone eccellenti – basti pensare al caso Berlusconi o alla querelle sull’elezione di Vincenzo De Luca – imponendo l’automatica decadenza dei condannati dalle cariche pubbliche.

La seconda ha influenzato per anni l’elezione del Parlamento, finché la Corte Costituzionale ne ha demolito pezzo per pezzo i meccanismi elettorali. In entrambi i casi, si è posto un interrogativo: che succede quando una norma, pur essendo legge, entra in rotta di collisione con la Costituzione o con il diritto europeo? È qui che entra in scena la disapplicazione, un potere silenzioso nelle mani dei giudici. Un potere che consente loro, nei casi concreti, di ignorare la legge.

Che cosa significa disapplicare una norma nel diritto italiano?

La disapplicazione è:

“l’ atto attraverso il quale il giudice decide di non applicare una norma che risulti in contrasto con una fonte superiore, come la Costituzione o il diritto dell’Unione Europea, limitatamente al caso concreto sottoposto al suo esame.”

Questo strumento consente al giudice di garantire la coerenza dell’ordinamento giuridico, risolvendo le antinomie normative senza incidere sulla validità generale della norma disapplicata.​
È importante sottolineare che la norma disapplicata rimane formalmente in vigore nell’ordinamento, ma non viene applicata nel caso specifico.

Disapplicazione delle norme: riferimenti normativi

La disapplicazione trova fondamento nel principio della gerarchia delle fonti, secondo il quale le norme di rango inferiore devono conformarsi a quelle di rango superiore. Tale principio è sancito dall’art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale, che stabilisce l’ordine gerarchico delle fonti del diritto. Inoltre, l’art. 11 Cost. prevede l’adesione dell’Italia a limitazioni di sovranità necessarie per aderire a ordinamenti sovranazionali come l’Unione Europea, il che implica la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno in caso di contrasto.

Differenze tra disapplicazione, abrogazione e annullamento

Oltre alla disapplicazione ci sono altri istituti (abrogazione e annullamento) che determinano la cessazione dell’efficacia di una norma. L’abrogazione è:

“l’atto con cui una norma cessa di avere efficacia per il futuro (ex nunc), senza effetti retroattivi”.

L’abrogazione può essere espressa, quando una nuova norma dichiara esplicitamente la cessazione di efficacia della precedente; tacita, quando la nuova norma è incompatibile con la precedente; o implicita, quando la nuova norma disciplina l’intera materia già regolata dalla precedente. ​Invece, l’annullamento è:

“l’atto che elimina una norma dall’ordinamento con effetto retroattivo (ex tunc), come se non fosse mai esistita.”

L’annullamento è disposto da un organo competente, come la Corte Costituzionale nel caso di leggi incostituzionali, e ha efficacia generale (erga omnes) .
In altre parole, mentre l’abrogazione e l’annullamento rimuovono la norma dall’ordinamento con effetti rispettivamente non retroattivi e retroattivi, la disapplicazione comporta la non applicazione della norma nel caso concreto, lasciandola però formalmente in vigore.

In quali casi un giudice può ignorare una legge?

I giudici sono tenuti ad applicare le leggi vigenti. Tuttavia, esistono circostanze specifiche in cui un giudice può, o addirittura deve, disapplicare una norma. Ciò avviene quando, come detto, la norma in questione è in contrasto con fonti di rango superiore, come il diritto dell’Unione Europea o la Costituzione italiana.​

Le fonti del diritto sono organizzate in una scala gerarchica (gerarchia delle fonti), in cui le norme di grado superiore prevalgono su quelle di grado inferiore – lex superior derogat inferiori . Al vertice di tale sistema si trova la Costituzione, seguita dalle leggi ordinarie e dagli atti aventi forza di legge, e, a un livello inferiore, dai regolamenti. Il diritto dell’Unione Europea, in virtù dei trattati internazionali ratificati dall’Italia, si colloca anch’esso in una posizione di preminenza rispetto alle leggi ordinarie. L’assetto gerarchico assicura la coerenza e l’unità dell’ordinamento giuridico, stabilendo criteri chiari per risolvere eventuali conflitti normativi.

Disapplicazione per contrasto con il diritto europeo

Il diritto dell’Unione Europea ha rango superiore rispetto alle normative nazionali degli Stati membri. Ciò significa che, in presenza di un conflitto tra una norma nazionale e una disposizione del diritto dell’Unione, quest’ultima prevale. In tali situazioni, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la norma interna contrastante, senza necessità di attendere una pronuncia della Corte Costituzionale o una modifica legislativa. Questo obbligo è stato affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella celebre sentenza «Simmenthal» del 1978, la quale ha stabilito che:

“il giudice nazionale deve garantire la piena efficacia del diritto comunitario, disapplicando le disposizioni nazionali incompatibili.”

Disapplicazione per violazione di norme costituzionali

Quando una norma di rango inferiore è in contrasto con la Costituzione, il giudice non può disapplicarla autonomamente. In questi casi, il giudice ha l’obbligo di sollevare una questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale, che è l’organo deputato a valutare la conformità delle leggi alla Costituzione. Se la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della norma, questa viene annullata con efficacia erga omnes, cioè nei confronti di tutti.

Come funziona la disapplicazione delle norme nella pratica?

Sia il giudice ordinario sia quello amministrativo hanno la facoltà di disapplicare una norma interna in contrasto con una fonte superiore. Il giudice ordinario, competente in materia civile e penale, può disapplicare una norma interna che contrasti con il diritto dell’Unione Europea, applicando direttamente la norma comunitaria con effetto diretto. Allo stesso modo, il giudice amministrativo, che si occupa della legittimità degli atti della pubblica amministrazione, può disapplicare atti amministrativi illegittimi o norme interne contrastanti con il diritto comunitario o con principi costituzionali.

Obbligo di interpretazione conforme e disapplicazione diretta

Prima di procedere alla disapplicazione di una norma interna, il giudice è tenuto a tentare un’interpretazione conforme, cioè interpretare la norma nazionale in modo tale da renderla compatibile con la fonte superiore. Questo approccio mira a salvaguardare la norma interna, garantendo al contempo il rispetto delle fonti sovraordinate.

Tuttavia, quando un’interpretazione conforme non è possibile a causa dell’insanabile contrasto tra la norma interna e la fonte superiore, il giudice deve procedere alla disapplicazione diretta della norma interna nel caso concreto.

Quali sono gli esempi più noti di disapplicazione in Italia?

Uno degli esempi di disapplicazione è il già citato Caso Simmenthal . Nel 1978, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee affrontò la questione relativa alla società Simmenthal, che importava carne bovina dalla Francia all’Italia. All’ingresso, le autorità italiane imposero una tassa sanitaria basata su una legge nazionale del 1970. Tuttavia, tale imposizione risultava in contrasto con i regolamenti comunitari del 1964 e del 1968, che miravano a eliminare le barriere commerciali tra gli Stati membri.

La Corte stabilì che il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di disapplicare le disposizioni nazionali contrastanti, indipendentemente dal fatto che siano anteriori o posteriori alle norme comunitarie.

Sentenze del Consiglio di Stato e dei TAR

Anche la giurisprudenza amministrativa ha contribuito all’affermazione del principio di disapplicazione. Il Consiglio di Stato e i Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) hanno emesso diverse sentenze in cui hanno disapplicato norme interne in contrasto con il diritto dell’Unione Europea. Ad esempio, il TAR Puglia Lecce,, ha ribadito l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare le norme interne incompatibili con il diritto comunitario, sottolineando l’importanza di garantire la supremazia del diritto dell’Unione (TAR Puglia sent. n. 1321 del 2020).

Inoltre, il Consiglio di Stato ha affermato il potere-dovere del giudice amministrativo di disapplicare atti amministrativi illegittimi o norme interne contrastanti con il diritto comunitario o con principi costituzionali, evidenziando la necessità di assicurare la conformità dell’azione amministrativa alle fonti normative superiori (Cons.di Stato,sent. n. 6792/2020). ​

Esempi in materia fiscale e tributaria

In diverse occasioni, le autorità giudiziarie hanno disapplicato norme nazionali che imponevano tributi in contrasto con le disposizioni comunitarie sulla libera circolazione delle merci e sulla concorrenza.

Ad esempio, in materia di concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, la giurisprudenza amministrativa ha disapplicato norme legislative nazionali che prevedevano proroghe automatiche delle concessioni, ritenendole incompatibili con il diritto dell’Unione Europea. Questi interventi giurisprudenziali hanno avuto l’effetto di eliminare ostacoli normativi che potevano compromettere la libera concorrenza e il corretto funzionamento del mercato interno.​

La Pubblica Amministrazione può disapplicare una norma?

La P.A. non ha un potere generale di disapplicazione delle norme di legge. A differenza del giudice, che è chiamato a risolvere i conflitti tra fonti nel caso concreto:

“l’amministrazione è vincolata al principio di legalità in senso formale e sostanziale. Deve applicare la legge anche quando ritiene che questa sia in contrasto con norme di rango superiore, salvo ipotesi stabilite dalla giurisprudenza.”

Secondo un orientamento costante del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione, la P.A. non può autonomamente disapplicare leggi o regolamenti vigenti, neppure se ritenuti illegittimi o in contrasto con il diritto europeo o con la Costituzione. Se sorgono dubbi sulla legittimità di una norma, l’unico comportamento corretto che l’amministrazione può adottare è sospendere il procedimento e sollecitare l’intervento del giudice competente, che potrà eventualmente disapplicare la norma nel giudizio.

Un’eccezione limitata si è affermata nella giurisprudenza amministrativa, in particolare con riferimento agli atti amministrativi illegittimi, come accade ad esempio quando un’amministrazione ritira in autotutela un proprio provvedimento perché ritenuto in contrasto con norme sovraordinate. Tuttavia, anche in questo caso non si parla tecnicamente di disapplicazione della norma di legge, bensì di annullamento d’ufficio dell’atto in base al principio di legalità e buon andamento.
In ambito europeo, si è discusso a lungo se la P.A. possa disapplicare direttamente norme interne contrastanti con il diritto dell’Unione. La giurisprudenza più recente, pur riconoscendo la vincolatività del diritto dell’UE anche per le amministrazioni, esclude che queste possano agire come un giudice.

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