La nuova sentenza della Cassazione sul divieto di avvicinamento: è reato anche quando è la vittima ad avvicinarsi.
Il divieto di avvicinamento è uno strumento fondamentale per tutelare le vittime di alcuni reati particolarmente pericolosi, soprattutto a fronte dei lunghi tempi processuali. La cronaca purtroppo insegna che c’è ancora un lavoro impegnativo da svolgere per trarre davvero beneficio da questa misura cautelare, assicurando tempi di risposta celeri in caso di violazione. Dal punto di vista prettamente giuridico, però, il divieto di avvicinamento è concepito in maniera minuziosa per impedire il ripetersi di crimini o comunque di danneggiare ulteriormente la vittima. Molto spesso si parla di questa misura, proprio in relazione alle violazioni che colpiscono maggiormente, la maggior parte della volte in casi di violenza di genere.
Per quanto non sia noto a tutti il preciso funzionamento, è molto intuitivo il concetto: l’autore (allo stato delle cose soltanto presunto) non può avvicinarsi alla vittima. Il divieto è previsto per impedire che il reato venga ripetuto o seguito da crimini ulteriori e magari ancora più gravi, dai tentativi di intimidire la persona offesa fino all’omicidio. Dal punto di vista pratico ci sono delle lacune importanti, perché non si può confidare esclusivamente nel valore di deterrenza, visto che la violazione del divieto è un ulteriore reato. Anche perché, se ciò fosse sufficiente, non sarebbero stati commessi nemmeno i fatti che hanno portato al divieto, senza dubbio puniti con maggiore severità.
Deve quindi essere ottimizzato il sistema di controllo, affinché la violazione del divieto di avvicinamento venga rilevata nell’immediato. Ciò è indispensabile non soltanto per sanzionare il comportamento, ma più che altro per proteggere efficacemente la persona offesa. La recente sentenza della Cassazione, pur non potendo intervenire su queste problematiche, dà una spinta notevole ai meccanismi di tutela: il reato di violazione è considerato tale anche quando è la vittima ad avvicinarsi, pur se volontariamente.
Violazione del divieto di avvicinamento quando è la vittima ad avvicinarsi
L’obiettivo resta oggi piuttosto ambizioso, anche a causa della limitatezza di risorse a disposizione: pochi braccialetti elettronici e relativi malfunzionamenti, carenze di organico nelle forze dell’ordine e così via. Dal punto di vista giuridico e giurisprudenziale, tuttavia, la tutela delle vittime assume sempre maggiore rilevanza. La legge non dovrebbe, infatti, distaccarsi completamente dall’evoluzione dei problemi sociali, né dalle nuove sensibilità e dagli studi sociologici e psicologici. La recente sentenza della Corte di Cassazione sul divieto di avvicinamento si pone come un segnale fortissimo in questo senso, toccando un tema da sempre delicato: cosa succede quando è la vittima ad avvicinarsi?
Ebbene, secondo gli Ermellini la responsabilità ricade comunque sul soggetto sottoposto al divieto di avvicinamento. La persona è infatti tenuta ad adoperarsi per evitare la violazione del divieto, indipendentemente dall’eventuale volontà differente (anche solo apparente) della vittima. Quest’ultima deve infatti essere protetta a trecentosessanta gradi, anche quando viene intimidita, manipolata o portata a tralasciare il proprio interesse e benessere a causa della propria condizione psicologica. Va da sé che il rispetto del divieto di avvicinamento è doveroso anche quando il soggetto imputato o indagato ritiene di non meritare la misura cautelare. Avrà infatti maggiore modo di provare la propria innocenza, mantenendo l’opportuna distanza tra le parti.
La sentenza richiamata, la n. 4936/2025 della Cassazione, consolida un principio fondamentale, lanciando un segnale forte in merito alla corretta valutazione delle responsabilità. La Corte ha infatti confermato la violazione del divieto di avvicinamento da parte del soggetto che aveva permesso alla vittima di trattenersi presso la propria abitazione. Il rispetto del divieto si esprime anche attraverso l’adozione dei comportamenti necessari a escludere l’avvicinamento. Trovandosi in casa propria, oltretutto, il soggetto poteva escludere l’altro senza particolari difficoltà, tanto che la Cassazione parla della possibilità di adottare “comportamenti, scarsamente onerosi e quindi esigibili”.
Nello specifico, sarebbe stato opportuno allertare le forze dell’ordine per ottenere l’allontanamento. Ne consegue quindi che il divieto di avvicinamento deve essere rispettato indipendentemente dal comportamento della vittima e dalla sua stessa volontà. Ciò non significa che la (presunta) vittima possa far uso del divieto per cagionare danni all’altra persona. Posto che il divieto si applica nei modi previsti precisamente dal giudice, eventuali rimostranze devono essere portate avanti agendo attraverso le vie legali e in ogni caso mai violando l’ordinanza.
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