Anief: “Il rinnovo del contratto penalizza gli insegnanti con più di 35 anni di servizio. Per loro stipendio bloccato fino alla pensione”.
Insegnanti e personale ATA sono in attesa di ricevere in busta paga gli aumenti stipendiali previsti dal rinnovo del contratto; come abbiamo avuto modo di chiarire nei giorni scorsi questi non saranno però caricati sul cedolino NoiPA di aprile 2018, poiché l’iter legislativo non è ancora concluso.
Per questo motivo molti insegnanti e sindacati si stanno scagliando contro l’accordo che ha portato al rinnovo del contratto, lamentando una poca chiarezza da parte del Governo uscente.
Secondo l’Anief però c’è un’altra mancanza che il rinnovo del contratto avrebbe dovuto colmare e che invece non ha fatto: introdurre un nuovo scatto stipendiale per insegnanti e personale ATA, una fascia retributiva per chi ha un’anzianità di servizio compresa tra i 36 e i 43 anni.
L’accordo avrebbe dovuto rivedere i gradoni stipendiali attualmente previsti per il personale ATA e per gli insegnanti, cosa che invece non è avvenuta. Ricordiamo infatti che ad oggi i docenti di ruolo ricevono un aumento stipendiale una volta raggiunti gli 8, 12, 21, 28 e 35 anni di servizio.
Questi scatti però non sono adeguati all’attuale sistema poiché non si tiene conto delle novità introdotte nel 2011 dalla Legge Fornero che ha portato all’innalzamento dei requisiti per la pensione facendo così slittare di quasi 10 anni l’uscita dal mondo del lavoro.
Perché è necessario introdurre un nuovo scatto stipendiale
Quindi se fino a qualche anno fa era lecito riconoscere l’ultimo aumento di stipendio una volta superata la soglia dei 35 anni di servizio, oggi non è più così.
Visti gli attuali requisiti per la pensione di vecchiaia e anticipata - e tenendo conto anche l’ulteriore innalzamento previsto nel 2019 - può accadere che un insegnante resti in servizio per molti altri anni dopo aver superato la suddetta soglia.
Basti pensare che per la pensione anticipata nel 2019 bisognerà aver maturato 43 anni e 3 mesi di contributi per gli uomini e 42 e 3 mesi per le donne.
Ecco perché bisognava assolutamente introdurre una nuova fascia retributiva per chi ha dai 36 ai 43 anni di servizio. Così non è stato e per questo - come ribadito dall’Anief - si condanna la maggioranza dei lavoratori con più di 60 anni a percepire sempre lo stesso stipendio dai 35 anni di servizio e fino all’ultimo anno precedente alla pensione.
Senza contare poi che con l’introduzione del metodo contributivo per il calcolo della pensione questi lavoratori una volta che saranno collocati in quiescenza percepiranno uno stipendio di circa il 50% dell’importo dell’ultima retribuzione.
Quale soluzione?
Secondo l’Anief l’unica soluzione possibile è quella di prevedere un percorso agevolato per gli insegnanti che intendono andare in pensione, introducendo delle agevolazioni alla pari di quelle riconosciute ai lavori gravosi.
Non si può nascondere infatti che la professione del docente è particolarmente esposta a condizioni “stressogene” che portano allo sviluppo del burnout. Condizioni stressogene che riguardano l’intera categoria e non i soli insegnanti delle scuole dell’infanzia che sono stati inclusi nell’elenco dei lavori gravosi.
Ecco perché bisogna permettere agli insegnanti di andare in pensione in anticipo rispetto a quanto previsto dall’attuale normativa, così anche da favorire il ricambio generazionale e ridurre il precariato.
Una riforma delle pensioni dei docenti che secondo l’Anief dovrebbe essere caratterizzata da un ritorno al passato; il piano ottimale, infatti, sarebbe di tornare a 61 anni d’età e 35 di contributi per l’accesso alla pensione, con il trattamento di quiescenza che verrebbe calcolato sull’80% dell’ultima retribuzione percepita.
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