Nell’ultimo anno, Pechino ha rappresentato solo il 15,4% delle importazioni di merci statunitensi: ciò rappresenta la quota più bassa dall’ottobre 2006.
Gli Stati Uniti stanno attuando diverse misure per promuovere la «de-sinizzazione» della catena di approvvigionamento globale per affrontare le pratiche di concorrenza sleale del Partito Comunista Cinese (PCC). In questa direzione, un altro provvedimento degno di nota è l’approvazione unanime, l’8 giugno scorso, dell’”Ending China’s Developing Nation Status Act” da parte della commissione per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti. Questo disegno di legge chiede al segretario di stato di perseguire un cambiamento dello status della Cina da paese in via di sviluppo a paese sviluppato attraverso i trattati esistenti e altri meccanismi.
Nonostante la Cina sia la seconda economia più grande del mondo e destinataria di ingenti investimenti esteri, ha costantemente rivendicato lo status di paese in via di sviluppo, che le garantisce alcuni privilegi e flessibilità. Tuttavia, il senatore statunitense Chris Van Hollen ha affermato: “Dalla sua scala economica e militare, ai massicci investimenti nei paesi di tutto il mondo è evidente che la Cina non è più un paese in via di sviluppo. Per molto tempo, la Cina (il PCC) ha sfruttato questa designazione per ottenere vantaggi sleali negli accordi multilaterali”.
Allo stesso modo, il senatore Dan Sullivan ha dichiarato: “La Cina è la seconda economia mondiale. È uno dei paesi più industrializzati del mondo. La Cina (PCC) possiede uno dei più potenti eserciti del mondo. La Banca mondiale ora classifica persino la Cina come un paese a «reddito medio-alto». L’idea che la Cina sia un ’paese in via di sviluppo’ è assurda”.
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