Il problema della bassa natalità interessa gran parte dei Paesi. Invertirne la tendenza è impossibile, ma esistono due soluzioni alternative per scongiurare ripercussioni sul piano economico.
Esiste un problema tassi di natalità nel mondo, in quanto due terzi dei Paesi oggi registra una percentuale inferiore del tasso di sostituzione ideale, inteso come quella percentuale necessaria affinché un Paese sviluppato possa aumentare, o perlomeno mantenere, la propria popolazione.
Il tasso di natalità ideale oggi sarebbe di 2,1 bambini per ogni donna: in Italia stiamo molto al di sotto, in quanto nel 2023 è stato di 1,20, mentre nel 2022 era dell’1,24. Ci stiamo avvicinando quindi al minimo storico che il nostro Paese ha registrato nel 1995, quando toccammo il record negativo di 1,19 figli per ogni donna.
A tal proposito, è lecito chiedersi cosa si può fare per contrastare il problema del calo del tasso di natalità, un fenomeno malvisto dai demografi visti i risvolti negativi che questo può avere. In particolare, c’è il problema di una forza lavoro inferiore al numero di pensionati, con una riduzione delle entrate contributive con il rischio di non riuscire a pagare tutte le pensioni.
I problemi economici che ne possono scaturire sono significativi, ecco perché i governi da tempo riflettono su come fare per incrementare il tasso di natalità. Ad esempio, in Italia negli ultimi anni sono stati fatti degli investimenti in favore di misure a sostegno della natalità, come l’Assegno unico, il congedo parentale, e il bonus nido, oppure incentivi per le famiglie numerose come il bonus in busta paga riconosciuto alle mamme con almeno due figli.
Secondo i calcoli effettuati dalla ministra per la Famiglia e le Pari opportunità, Eugenia Maria Roccella, in totale il governo Meloni ha stanziato 16 miliardi di euro in favore delle famiglie, di cui 2,5 miliardi solamente nell’ultimo anno. I risultati, però, tardano ad arrivare.
E il rischio è che non arrivino mai.
La tendenza dei tassi di natalità nel mondo non si può invertire
Come anticipato, non si tratta di un problema solo italiano. Come riportato da Sarah Harper, professoressa di gerontologia (lo studio degli aspetti sociali, psicologici, cognitivi e biologici dell’invecchiamento) dell’Università di Oxford, su scala mondiale ben due terzi dei Paesi hanno un tasso di sostituzione più basso di quello ideale.
Inghilterra e Galles, ad esempio, pur facendo meglio dell’Italia, hanno registrato un tasso di 1,49 figli per donna nel 2022, mentre per gli Stati Uniti è stato appena migliore (1,62). Sono bassi anche il Giappone e la Cina, mentre la Corea del Sud è la più bassa del mondo con un preoccupante tasso dello 0,72 figli per donna registrato nel 2023.
Di fatto, gli unici Paesi a registrare una crescita della popolazione sono quelli dell’Africa sub-sahariana.
Eppure ogni governo sta facendo il possibile per aumentare i tassi di natalità, ad esempio migliorando i servizi di assistenza all’infanzia, come pure prevedendo agevolazioni fiscali in favore delle famiglie e congedi di maternità (ma anche di paternità) più lunghi e meglio retribuiti. E nell’ultimo periodo si registra anche una maggiore flessibilità sul lavoro, permettendo a mamme e papà di avere più tempo per dedicarsi alle esigenze familiari.
Tuttavia, come spiegato da un articolo di approfondimento pubblicato da Bbc News, per quanto queste politiche possano rallentare il declino raramente riescono a invertire la tendenza.
Il problema è che allo stato attuale non sembrano esserci soluzioni, economicamente sostenibili, per riuscirci. Il fatto che si facciano meno figli è ormai la conseguenza naturale dell’emancipazione della donna. I dati ci dicono che più le donne sono istruite, più lavorano e meno sono inclini a fare figli. Anche perché spesso una gravidanza ha conseguenze negative sui guadagni e sulle prospettive di carriera. Per quanto lo Stato possa prevedere strumenti a sostegno dei genitori affinché un tale rischio non si concretizzi, è impossibile azzerare la probabilità che si verifichi.
Ovviamente nessuno vuole un ritorno al passato, anzi siamo ancora lontani dal colmare a pieno il gap che ancora oggi c’è tra uomini e donne nel mondo del lavoro (e non solo).
Per questo motivo, pur non rinunciando ad attuare politiche di sostegno alla genitorialità, ogni Paese dovrebbe prendere atto del fatto che oggi non ci sono le condizioni per un ritorno ai tassi di natalità che hanno contraddistinto gli anni ‘60 e ‘70 (l’ultima volta che in Italia il suddetto valore è stato superiore a 2 è stata nel 1976).
Per questo motivo bisogna pensare a delle soluzioni alternative affinché una tale situazione non abbia ripercussioni negative sull’economia del Paese.
Quali soluzioni?
Sono almeno due le soluzioni alternative per far fronte al calo delle nascite:
- da una parte si può allungare l’età del pensionamento, tenendo conto del fatto che le speranze di vita si sono notevolmente allungate negli ultimi anni (eccetto la parentesi rappresentata dalla pandemia da Covid-19);
- dall’altra, invece, si potrebbero prevedere delle politiche di immigrazione che possano favorire l’ingresso di nuova forza lavoro da quei Paesi dove invece la popolazione, almeno numericamente, è in costante crescita.
La prima è la soluzione più adottata, per quanto non goda dell’appoggio da parte dell’opinione pubblica. Ogni volta che si legge di un possibile aumento dell’età pensionabile, infatti, si storce la bocca dando la colpa al governo di turno per non essere stato capace di trovare una soluzione alternativa. Basti pensare a come ancora oggi Elsa Fornero, ministra del Lavoro per il governo Monti autrice della riforma delle pensioni più importante degli ultimi anni, è considerata una dei peggiori ministri della storia della Repubblica, dimenticando che l’aumento dell’età pensionabile da lei autorizzato era inevitabile per garantire sostenibilità alle pensioni.
Bisogna prendere atto del fatto che con l’aumento delle aspettative di vita e il calo nella popolazione in età da lavoro diventa sempre più difficile permettersi pensioni sempre più lunghe.
Come visto sopra, però, una soluzione alternativa ci sarebbe, “importando” forza lavoro. Per quanto un tale tema rappresenti “una patata politica bollente su entrambe le sponde dell’Atlantico”, la professoressa Harper ritiene che dal punto di vista demografico sarebbe consigliato “consentire a chi proviene da quei paesi con tassi di natalità elevati un numero enorme di lavoratori di essere in grado di spostarsi in tutto il mondo”.
Nonostante una tale soluzione permetterebbe di recuperare il gap che si è venuto a verificare con il calo della natalità, nei Paesi sviluppati l’immigrazione non si avvicina nemmeno lontanamente a un livello adeguato affinché ciò avvenga (e nonostante ciò è comunque estremamente impopolare).
Insomma, entrambe le soluzioni non piacciono alle persone, per quanto comunque sembra che queste debbano rassegnarsi: i Paesi dovranno in ogni caso far lavorare per più a lungo, oppure aumentare l’immigrazione. E non è da escludere che possano servire entrambe.
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