Il bianco Trump ha ricevuto il 51% dei voti, contro il 45% andati a Kamala: gli indiani hanno dato la maggioranza assoluta di voti a un Repubblicano per la presidenza.
L’analisi granulare del voto di novembre è importante per capire se ci sono stati movimenti tettonici dell’elettorato che suggeriscono cambi di natura strategica in qualche categoria di persone o gruppi etnici, oppure se l’andamento è stato dettato da cause contingenti, e che possono più facilmente essere corrette in futuro. Purtroppo per i Democratici, i motivi della sconfitta risiedono in entrambi i campi.
Premesso che, in politica, niente è immutabile, non fosse altro che in ogni appuntamento quadriennale ci sono coorti di nuovi elettori che entrano e che escono dalle liste anagrafiche, gli esami di tre particolari situazioni, offerti da un sondaggio e da due media, ci dicono che il partito di Harris-Biden deve fare profonde autocritiche.
1) Una exit poll condotta da Edison Research ha rilevato che due su tre Native Americans (il 65 per cento) hanno votato per Trump. Il dato suona clamoroso, ma è, sia pure con un distacco meno grave per Harris, confermato dal sondaggio di Native News Online, in collaborazione con la Scuola Medill di Giornalismo alla Northwestern University tra il 7 e il 13 novembre: il bianco Trump ha ricevuto il 51% dei voti, contro il 45% andati a Kamala, la candidata di colore. Balza agli occhi che la razza degli indiani è la sola che ha dato una maggioranza assoluti di voti a un Repubblicano per la presidenza. Uso il termine “indiani” perché loro non hanno alcun prurito woke a chiamarsi Indians, come si scopre visitando il primo museo dei Native Americans, creato e costruito da loro stessi a Oklahoma City, e che adesso gestiscono per raccontare la propria storia. [...]
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