Tenere soldi liquidi sul conto corrente o sul libretto comporta tutta una serie di costi nn sempre interamente valutati. Vediamo quali sarebbero
La preferenza per la liquidità non passa mai di moda e anzi, fin dalla notte dei tempi, gode di elevata preferenza tra gli operatori economici, risparmiatori inclusi. Spesso quest’ultimi sono restii a investire i capitali anche a basso rischio “per paura di”. È un timore più che legittimo, a patto però di comprenderne i costi, occulti e palesi, nascosti dietro simili scelte. Per comprenderlo vediamo quanti soldi ha perso nel 2023 chi ha tenuto 50.000 euro liquidi sul conto corrente o libretto.
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L’indagine di Banca d’Italia sul costo dei conti correnti
Consideriamo un capitale di una certa importanza detenuto in forma liquida sui più comuni strumenti di gestione del risparmio, ossia c/c o libretto, bancari o postali che siano. Quanto costa detenere soldi liquidi su tali strumenti?
In merito ai conti correnti la risposta arriva direttamente da Banca d’Italia che il 10 dicembre ha pubblicato i risultati dell’indagine sui loro costi medi di gestione. L’analisi è stata svolta nel 2024 sugli estratti conto del 2023, e ha considerato 11.985 c/c bancari, 1.174 conti online e 1.000 c/c postali, tutti variamente selezionati. Cosa raccontano di bello i dati raccolti?
Nel 2023 la spesa media di gestione dei rapporti bancari tradizionali si è attestata sui 100,7 €, in diminuzione del 3,3% sul 2022. Il grosso del “calo” è dovuto soprattutto alla limatura dei canoni, e in parte residuale a un leggero, minor numero di prelievi allo sportello.
Trend inverso invece per i c/c postali, la cui spesa media è passata dai 59,6 € del 2022 ai 67,3 € del 2023. Qui la crescita dei costi è direttamente imputabile a una maggiore operatività della clientela e quindi delle spese variabili.
Anche per il 2023, infine, i c/c in assoluto più economici si sono rivelati quelli online, la cui spesa media si è attestata sui 28,9 €, in discesa –4,8% sul 2022.
Quanto ai libretti di risparmio bancario o postale, invece, di norma gli intermediari non prevedono costi di tenuta dello strumento, eccettuo le spese fiscali.
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Spese fiscali e perdita da potere d’acquisto
Infatti il novero delle spese non si esaurisce solo a quelle di tenuta conto. Ad esse si aggiungono altre 3 famiglie di costi, di cui una palese e due “occulte”.
La 2° voce di costi che si vede e si paga in soldi sonanti è quella che rimanda all’imposta di bollo (se e quando dovuta per Legge). Nel caso da noi considerato, ossia un ipotetico capitale liquido di 50mil €, si tratta di 34,20 € annui. Poca cosa? La risposta è soggettiva. Di certo c’è che si tratta di altri soldi che evaporano dal conto senza avere nessun servizio in contropartita.
L’inflazione, invece, è il primo dei due costi “nascosti” che solitamente sfugge agli occhi del risparmiatore meno attento. Non lo sostengo in nessun atto di pagamento vero e proprio, si è soliti pensare, per cui lo posso anche tralasciare.
Peccato siano diffuse simili convinzioni. Nei periodi di inflazione alle stelle si tratta della perdita in assoluto più devastante e capace di fare più danni più dei primi due costi messi assieme. Ad esempio, l’inflazione media annuale del 2023 è stata del 5,7% (dati: Rivaluta), altro che noccioline. Per cui su un ipotetico capitale di 50mila € si tratta di una perdita in termini di potere d’acquisto nell’ordine dei 2.850 €. I soldi, sulla carta, son sempre gli stessi, ma rispetto a ieri valgono meno. Potremmo mai definirla poca cosa?
Tirando le somme, nel 2023 l’aver detenuto 50mila € liquidi può aver comportato fino a 3mila € di perdite tra spese vive e perdite da carovita.
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Infine c’è il costo opportunità, la voce di costo meno considerata di tutte in assoluto. Qui si tratta del costo derivante dall’essersi persa un’opportunità di guadagno a rischio non molto distante dalla liquidità pura.
Come esempi potremmo partire citando l’offerta Supersmart a 1 anno per i titolari di libretto postale. Zero spese di gestione, svincolo assicurato anche prima del termine e rendimento già noto a priori. In alternativa potremmo pensare al BOT a 12 mesi di emissione governativa o al conto deposito (libero o comunque svincolabile all’esigenza) di matrice bancaria.
Si tratta di prodotti che lo scorso anno a grandi linee hanno garantito tra il 3 e il 4 % lordo annuo a seconda dei casi. Non sono performance stellari, ma intanto avrebbero consentito di attenuare il complesso delle uscite fisse. Vale a dire di compensare le spese di tenuta conto (incluse quelle da eventuale dossier titoli, se attivo) e da imposta di bollo. Nonché di rosicchiare qualcosina anche alle perdite da inflazione, in misura variabile da caso a caso.
Non è tanto, si dirà, ma è pur sempre un guadagno, un segno più. Nonché, nei casi più fortunati, un fondamentale punto di svolta e di partenza.
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