Il passaggio di Ethereum al Proof of Stake potrebbe essere simbolo di un punto di svolta per tutto il mercato crypto, anche in virtù del risparmio energetico e della sostenibilità
Il mercato delle criptovalute prosegue con un andamento altalenante, con il Bitcoin che oggi vale 21.560 dollari, in calo del 12,3% rispetto a una settimana fa, e con Ethereum che dopo aver toccato i 2mila dollari oltre una settimana fa oggi è a quota 1.620 dollari, in calo del 15,8%.
Più contenuta la contrazione settimanale di Binance (del 7%), scambiato a 301 dollari, mentre Cardano (0,46 dollari), Solana (35,48 dollari) e Dogecoin (0,06882 dollari) sono tutte in calo di circa il 20%.
Ago della bilancia del mercato potrebbe però essere proprio la numero 2 delle crypto, Ethereum, che è attesa dalla macro operazione chiamata Merge, praticamente confermata per la mattina del 15 settembre, (attualmente l’hash rate è di 870275680,61 MH/s).
Quella che è attualmente la Ethereum Mainnet si fonderà con Beacon Chain e questo segnerà la fine del Proof of Work per Ethereum e il completo passaggio al Proof of Stake.
Un tempo di fusione fra le piattaforme stimato in ragione di quella che la Ethereum Foundation chiama la Terminal Total Difficulty (TTD), che è la difficoltà totale richiesta per estrarre il blocco finale prima di passare a Proof of State.
In sostanza quindi il tempo finale è influenzato dalla difficoltà e dall’hashrate attuali. E dato che la rete lavora in tempo reale, questo può cambiare in base a diversi fattori di rete, viene aggiornato il tempo di fusione previsto in base alla situazione della rete in tempo reale.
Al momento in cui scriviamo la percentuale di completamento del merge è superiore al 97%.
Un’operazione che avrà una valenza economica sotto tutti i punti di vista, non ultimo quello della del consumo energetico per il funzionamento, che si ridurrà drasticamente, e a traino di questo per la sostenibilità complessiva della blockchain.
Il merge, infatti, è forse il passaggio più importante nel processo di aggiornamento di Ethereum 2.0.
In questo modo il merge ridurrà il consumo energetico di Ethereum di oltre il 99,9% e avrà impatto su tutta la blockchain, in particolar modo sugli attuali miner (oggi il mining di Ethereum è prevalentemente fatto dalle rig GPU).
Gli analisti si attendono vari tipi di comportamento da parte dei miner, che vanno dal mantenimento delle attività di mining su Ethereum classic (ETC, che al momento in cui scriviamo vale 33,5 dollari, in calo di quasi il 20% rispetto a una settimana fa) il passaggio a validatori sulla blockchain Proof of Stake di Ethereum, ma anche un riposizionamento su altre crypto, o la conversione delle Gpu sul fronte gaming.
Un merge che significa sostenibilità
Il merge significa l’unione del livello di esecuzione esistente di Ethereum con il suo nuovo livello di consenso Proof of Stake di Beacon Chain, che elimina la necessità di fare mining ad alta intensità energetica e protegge la rete utilizzando ETH in staking.
Un passo che significa, quindi, più scalabilità, sicurezza e sostenibilità.
Inizialmente la Beacon Chain era parallela alla Mainnet di Ethereum su cui risiedevano i conti, saldi, gli smart contract protetti. La sostituzione con il Proof of Stake segnerà la fine del Proof of Work per Ethereum e avvierà l’era di un Ethereum più sostenibile ed ecologico.
Dopo il completamento della fusione, verranno avviate alcune funzioni, come la possibilità di ritirare lo staking ETH.
Parallelamente anche lo sharding si sta evolvendo, alla ricerca del modo più ottimale di distribuire il carico di archiviazione dei dati dei contratti, consentendo una crescita esponenziale della capacità di rete.
Dove sono i nodi Ethereum?
Intanto sulla rete si sta ponendo il tema della residenza dei nodi di Ethereum, come un fattore che potrebbe inficiare l’efficacia del merge, ponendo anche la questione della effettiva decentralizzazione dell’intera blockchain.
Pare infatti che quasi il 70% dei nodi risieda presso Web provider, che per definizione sono centralizzati.
Come riporta il sito Ethernodes, il 46% dei nodi centralizzati risiede su Amazon Web Services, il 4,3% è su Oracle Cloud, il 3,8% su OVHCloud, il 3,4% su Digital Ocean, il 2,9% su Alibaba e il 2,8% su Google Cloud.
Per questo la centralizzazione dei nodi Proof Of Stake di Ethereum è fonte di preoccupazione presso gli attori del web3.
Si è esposta in merito Maggie Love, la fondatrice di W3BCloud, realtà che fa infrastrutture di computing e storage per il Web3, mentre da altre parti si osserva che la blockchain di Ethereum deve mantenere dimensioni costanti per dar modo alle persone di eseguire i propri nodi, ed evidentemente il controllo dei web provider non sarebbe una garanzia sufficiente.
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