Facebook: l’algoritmo che indirizza la pubblicità è “sessista e razzista”

Marco Ciotola

01/05/2019

Secondo un recente studio, l’algoritmo in base al quale sono gestiti gli annunci su Facebook ricalca stereotipi legati a genere e razza. I dettagli

Facebook: l’algoritmo che indirizza la pubblicità è “sessista e razzista”

Il meccanismo preciso con cui Facebook indirizza la pubblicità è ignoto, nascosto dietro accordi di non divulgazione e leggi di segretezza commerciale. Ragione per cui il funzionamento degli algoritmi, di fatto, è noto solo a una ristretta cerchia di dipendenti.

Ma una ricerca targata University of Southern California, pur non rivelando i codici nascosti dietro la questione ads, ha mostrato un meccanismo di targettizazione per molti versi inquietante: gli annunci sembrano infatti seguire stereotipi razzisti e sessisti.

La tendenza, riscontrata in particolare nel settore immobiliare, sembra costante e del tutto impermeabile alle richieste specifiche degli stessi inserzionisti, che dalla loro chiedono esplicitamente di comunicare senza restrizioni col più ampio pubblico possibile, ma vedono gli annunci indirizzati solo a determinate fasce d’utenza.

Facebook: l’algoritmo che indirizza la pubblicità è sessista e razzista

Esistono due passaggi fondamentali che muovono la pubblicità su Facebook. Il primo ha a che fare con le scelte degli inserzionisti, che selezionano determinati segmenti di utenza a cui riferirsi.

Il secondo cruciale passaggio dipende da Facebook, che stabilisce di far apparire un annuncio a determinate persone e non ad altre, seguendo il flusso di quel preciso momento. Gli inserzionisti possono vedere quali sono i segmenti di pubblico che hanno visualizzato l’annuncio, ma non sono mai autorizzati a conoscere la logica che sottostà al metodo di selezione.

La ricerca a firma University of Southern California si concentra sul secondo passaggio. In sostanza, i ricercatori hanno creato annunci senza alcun target per osservare quale collocazione la piattaforma gli riservava. I risultati - hanno evidenziato i ricercatori - sono inquietanti.

L’osservazione suggerisce una significativa inclinazione verso stereotipi di razza e sesso negli annunci di lavoro e immobiliari «reali», malgrado parametri degli inserzionisti del tutto neutri. Anche quelli «finti» mostrano meccanismi che portano ad annunci “potenzialmente discriminatori”.

La richiesta dei ricercatori segnalava infatti come pubblico di riferimento solo una generica “utenza Facebook degli Stati Uniti”, senza indicare nessuna specifica relativa a razza o genere.

Partendo da simili presupposti, lo studio ha rilevato come Facebook abbia destinato gli annunci di lavoro nel settore della falegnameria a un pubblico composto per il 72% da bianchi e il 90% da uomini; posizioni come cassiere a un pubblico dell’85% di donne e posti di lavoro come tassisti a un pubblico nero per il 75%. Infine, le inserzioni riguardanti lavori di segreteria hanno come target un’utenza praticamente solo femminile.

Nel caso degli annunci immobiliari - anche in questo caso con parametri neutri - le case in vendita compaiono a un 75% di utenti bianchi, percentuale che crolla in caso di affitto, dove per contro cresce significativamente la percentuale di utenti di colore.

Lo studio ha rivelato rinforzi di stereotipi da parte della piattaforma anche nel caso di semplici foto, notando come Facebook cambi target di riferimento in base al contenuto: un’immagine dove si vede un pallone compare praticamente solo a uomini, quella con un fiore a una netta maggioranza di donne.

“In altre parole, anche in assenza di inserzionisti bigotti, la stessa piattaforma appare intrinsecamente piena di pregiudizi”,

recita l’amara nota conclusiva dei ricercatori.

Da parte sua Facebook, tramite un portavoce, ha commentato lo studio dicendosi profondamente contrario alla discriminazione, in qualsiasi forma:

“Abbiamo fatto molte modifiche ai nostri strumenti di targeting degli annunci e sappiamo che questo è solo il primo passo. Abbiamo coinvolto esperti del settore, accademici e esperti di diritti civili, ma stiamo esplorando sempre nuovi e ulteriori cambiamenti per migliorarci”.

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