Figli di coppie non sposate: ecco cosa cambia per la legge rispetto a quelli nati all’interno di un’unione coniugale.
Un tempo erano molte le differenze fra i figli nati all’interno di un matrimonio, i cosiddetti figli legittimi, e quelli nati da coppie non sposate. Oltre allo stigma sociale, anche a livello giuridico e burocratico c’erano diversi elementi che diversificavano la vita dei figli illegittimi o naturali rispetto agli altri. Via via, questo divario è stato superato, tanto che non esiste più la definizione di “figli legittimi” nel nostro Codice civile, si parla di figli e basta. Ma allora cosa cambia per i figli di coppie non sposate?
Il riconoscimento dei figli se i genitori non sono sposati
Quando nasce un bambino, i genitori devono riconoscerlo e scegliere il suo nome. Quando i genitori sono sposati, si presuppone che siano nati dall’unione di marito e moglie, perciò è sufficiente che uno dei due genitori si occupi del riconoscimento. Al contrario, quando la coppia non è sposata, il padre deve riconoscere il figlio, anche se per esempio la coppia ha già altri figli riconosciuti dallo stesso genitore. In assenza del riconoscimento paterno, infatti, non sarebbe possibile presumere l’identità del padre, ostacolo che è superato nel matrimonio grazie all’esistenza del vincolo coniugale.
Questo principio giuridico prende definizione dall’eloquente locuzione latina mater semper certa est, pater numquam (la madre è sempre certa, il padre mai). È infatti con il riconoscimento che il padre dà il cognome ai suoi figli, insieme a quello materno a meno che i genitori non decidano altrimenti. Proprio per semplificare la questione per le coppie non sposate, è possibile anche il prericonoscimento dei figli, ossia prima della loro nascita.
leggi anche
Quanti cognomi si possono avere in Italia?
Il mantenimento e l’affidamento dei figli
Nessuna distinzione fra coppie sposate e non quando si guarda al mantenimento dei figli. Quest’obbligo, infatti, deriva dal legame genitoriale e non ha alcun collegamento con l’esistenza o meno di un vincolo coniugale. L’unico problema in proposito potrebbe essere il mancato riconoscimento paterno, che comunque può essere preteso dalla madre con un’azione giudiziaria. Anche se la coppia si lascia, il mantenimento viene stabilito dal giudice, insieme all’affidamento, con i medesimi criteri e lo stesso procedimento applicati per la prole dei coniugi.
Di pari passo, anche per l’affidamento si procede in maniera analoga. Di prassi, si sceglie l’affidamento congiunto, in cui i figli sono collocati presso il genitore ritenuto più idoneo con diritto di visita dell’altro genitore.
Il diritto all’abitazione di famiglia per le coppie non sposate
Una differenza che si riscontra fra le coppie sposate e quelle che non lo sono riguarda l’affidamento della casa. Quando i coniugi si separano, la casa coniugale viene di norma assegnata al genitore collocatario, cioè quello presso cui risiedono i figli in maniera stabile. La stessa previsione non è garantita per le coppie non sposate, per le quali la casa rimane sempre del suo titolare a prescindere dal collocamento dei figli.
L’eredità che spetta ai figli di genitori non sposati
Come anticipato, i figli nati da coppie non sposati sono equiparati per status ai figli nati all’interno del matrimonio. Di conseguenza, tutti i figli sono chiamati a succedere in egual misura, secondo le previsioni del Codice civile, con il diritto a una quota di legittima che non può essere violata. Non rileva alcuna differenza, né per quantità né per priorità, tra i figli nati dalla coppia non sposata ed eventuali altri figli nati in un matrimonio, anche se antecedente o successivo. Ovviamente, vige anche il diritto successorio inverso, ossia quello dei genitori rispetto all’eredità dei figli.
Sul punto bisogna però segnalare che se i figli non sono stati riconosciuti al decesso del padre, possono avviare una causa civile volta all’accertamento della paternità post-mortem. Durante il procedimento, saranno esaminate le prove di paternità (principalmente il Dna, anche se ottenuto tramite la riesumazione del cadavere) e, in caso di corrispondenza, la sentenza del giudice costituirà da accertamento. In questo caso, il termine di accettazione dell’eredità (pari a 10 anni) inizia a decorrere dalla sentenza, e non dalla morte del genitore. La causa può essere avviata anche se il figlio è minorenne, tramite la madre o il tutore.
Dall’età di 14 anni, poi, il figlio deve prestare il consenso per l’avvio della causa o per il suo proseguimento. In ogni caso, l’azione deve essere promossa contro gli eredi o, in loro assenza, contro un curatore ereditario nominato dal giudice. L’azione è comunque imprescrittibile, tanto che può essere esercitata anche dai discendenti del figlio non riconosciuto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA