L’economia statunitense è destinata a rallentare, ma non assisteremo a una recessione. A dirlo è Maurice Obstfeld, capo economista del Fondo monetario internazionale.
Il rallentamento della crescita globale è destinato a ripercuotersi sugli Stati Uniti, ma per la prima economia non è in arrivo una recessione. Parola del capo economista del Fondo monetario internazionale.
Maurice Obstfeld, che a fine anno terminerà il suo mandato per andare in pensione, nel corso di un’intervista ha rilevato come nel 2019 e nel 2020 l’effetto espansivo legato a tagli fiscali e politiche espansive si ridurrà, facendo perdere forza alla prima economia.
Rallentamento fuori dagli Usa sarà più drammatico
“È da parecchio che stimiamo una frenata della crescita statunitense nel 2019, in parte è legato al ritiro o alla riduzione degli incentivi fiscali. […] Ma il rallentamento fuori dagli Stati Uniti […] sembrerebbe più drammatico”. “Per il resto del mondo sembrerebbe fuoriuscire aria dal pallone, e questo, credo, si ripercuoterà anche sugli Usa”.
In questo contesto, il processo di rialzo dei tassi Usa è destinato a subire uno stop. “Se c’è qualcosa che stiamo rilevando dal linguaggio della Fed e dalle aspettative di mercato, è che il processo di normalizzazione è destinato a rallentare ".
A fronte di un tasso di crescita relativamente forte nel 2019, gli Stati Uniti “registreranno una frenata nel 2020”.
Arrivato al fondo nel 2015, quando nessuno osava mettere in dubbio il concetto di multilateralismo, Obstfeld ha parlato di “un grande cambiamento”, di un contesto caratterizzato da un “approccio più conflittuale alle relazioni economiche internazionali”. Se oggi nei rapporti con la Cina a prevalere è lo scontro, politiche per l’inclusione di Pechino sono nell’interesse di tutti.
“Non credo che il conflitto stia aiutando questo processo evolutivo”.
Nonostante tutto, la globalizzazione dell’economia non sta per finire. “Non stiamo tornando verso le condizioni della Grande Depressione, quando il commercio è totalmente collassato in scia delle restrizioni”. “Le attuali tensioni potrebbero arrecare danni a causa dei legami globali tra produzione e investimenti, ma niente di comparabile al collasso degli anni ‘30”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA