Qual è il futuro di food retail in Italia e quanto vale quest’industria? Ne abbiamo parlato con Cris Nulli.
In questa intervista con l’imprenditore Cris Nulli, presidente di “Appetite for Disruption” (Ex industry Head of Fashion & Retail in Facebook Italia ed ex General Manager in LiveNow Italia), discutiamo del futuro del food retail e del food retail tech.
Quando parliamo di food retail, cosa intendiamo?
Il “food retail” è l’industria della ristorazione, che rappresenta i consumi fuori casa. Nel 2022 dovrebbe chiudere a quota 82 miliardi di euro. In questi ultimi anni, anche a causa del lockdown, quest’industria è diventata ricettiva all’innovazione digitale, pertanto il Food Retail più tradizionale, oggi si affianca al Food Retail Tech, con la nascita ad esempio di Dark e Ghost Kitchen o Virtual Brands.
Il mercato europeo è in espansione? L’Italia è competitiva?
A livello globale, l’industria del Food Retail dovrebbe superare il valore raggiunto nel 2019 (2.603 miliardi di euro) entro il 2023, con un tasso di crescita annuo del 5,5%. L’Europa è l’area geografica che crescerà maggiormente nel periodo 2021-2026 con +6,8%. La crescita maggiore è data dalla ristorazione a catena, che in Italia vale oggi 6,1 miliardi di euro, e di cui si stima rappresenti 10 mila punti di consumo di 700 diversi brand. Nel totale valore del Food Retail, la componente dedicata dalla ristorazione a catena è ancora appena sotto il 10%, rispetto ad altri mercati simili al nostro, come la Spagna, dove supera il 30%. Questo segmento è oggi il più dinamico nell’intercettare le nuove esigenze di consumo, ha un differente approccio verso il consumatore, rendendolo al centro dell’esperienza, e infine è un segmento con una forte componente digitale.
L’Italia ha molti esempi virtuosi, di aziende presenti all’estero, come Deliveristo, marketplace Food Tech per la ristorazione, che ha appena aperto in Spagna, o format presenti in più mercati, come Cioccolati Italiani, in continua espansione, Alice Pizza, anche recentemente approdata nella penisola Iberica, o Signorvino che ha appena annunciato lo sviluppo internazionale, con un prima apertura a Parigi, altrettanto ha annunciato Kuiri, società di dark kitchen, già presente a Milano, Torino e Roma. Gli imprenditori sono tendenzialmente under 40, con formazione economico finanziaria, sviluppano nuovi format di food retail, spesso con un mindset da tech company, con investimenti tecnologici significativi, centralità dei dati, certificazioni da B Corp e sviluppo finanziario pronto già da subito per aprire a capitali terzi, o addirittura ad acquisire brand competitor o complementari.
Spiegaci cosa fate con Appetite for Disruption?
Appetite for Disruption è una realtà che ha la missione di far crescere l’Industria del Food Retail e del Food Retail Tech, ideando conferenze, come il Global Food Service Forum, che quest’anno è giunto alle sua quarta edizione, ed ha avuto per la prima volta i principali players del mondo VC, tra cui Oltre Venture, Primo Venture, Milano Investment Partners, riuniti insieme ai principali imprenditori del Food Retail e Food Retail Tech, per porre attenzione su tematiche di sviluppo dell’Industria.
Secondo te qual è il Paese europeo che l’Italia dovrebbe prendere come riferimento per sviluppare questo mercato?
Spesso la Gran Bretagna è considerata il “benchmark” per l’innovazione del format ma ci sono anche mercati più vicini che funzionano, come quello della Francia, che è un ottimo esempio, non solo per il Food Retail tradizionale, ma anche per come sta evolvendo l’offerta per il consumatore, con format ormai consolidati, non solo in ambito di Food Retail ma anche di Food Retail Tech. È il caso del progetto di ghost kitchen per Not So Dark, che ha recentemente chiuso un round, raccogliendo 80M di euro, per lo sviluppo internazionale del brand. Altro esempio è Sunday, piattaforma di pagamenti per la ristorazione, che ha superato raccolto 100M di euro, per lo sviluppo internazionale.
Le nuove frontiere del food retail secondo te quali sono? Un esempio di brand in questo settore che funziona?
Dopo un periodo difficile come il ‘20 e ‘21, l’Industria del Food Retail e del Food Retail Tech sta vivendo una nuova primavera, naturalmente contestualizzata sullo scenario economico che viviamo. I casi maggiormente di successo sono format fortemente digitali, che sviluppano il business come una tech company, partendo dai dati, avendo strategie di omnicanalità molto chiare, considerando il delivery una linea di business con delle strategie ad hoc, e infine attenendosi alle esigenze dei consumatori nel relazionarsi con un brand: purpose driven, con un’alta attenzione a temi come la sostenibilità. Il caso più popolare che c’è in Italia è sicuramente Poke House, per lo sviluppo del concept, dimostrando la sostenibilità del modello in Italia e all’estero, anche in US. Poke House è una best practices nelle piattaforme di delivery, non solo sul retail tradizionale. Un format che ha ideato una vera e propria categoria è Pescaria: un prodotto quasi da street food, oggi è presente in 8 regioni d’Italia, partendo da Polignano a Mare. Sono nati come social media brand, tanto da essere stati citati, in passato, da Sheryl Sandberg, ex COO di Meta, durante una earnings call, come best practice mondiale sull’utilizzo dei social media. Ed oggi crea il suo valore, attraverso la data platform che ha creato con il suo CRM.
Un consiglio che daresti a un giovane imprenditore/imprenditrice che vuole cimentarsi nel settore?
Oggi il mondo del Food Retail e soprattutto del Food Retail Tech è in grande fermento, partendo dalla tecnologia, è possibile realizzare qualcosa che ancora non è stato realizzato, e facilmente scalabile. L’evoluzione, spesso partendo dalla tecnologia, permette di esplorare nuovi orizzonti, un esempio puo’ essere il caso di Ristoply: due ragazzi under 30 hanno realizzato un’app per la gestione degli ordini tra ristoratori e fornitori. In meno di un anno hanno fatto un aumento di capitale, con l’obiettivo di raggiungere 2 milioni di fatturato nel 2023.
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