Una relazione che è accademicamente inoppugnabile ma che, nel concreto, può risultare non vera.
La relazione tra tassi di interesse e valuta di un paese è una relazione che è accademicamente indissolubile e che logicamente, a livello macroeconomico, non può essere confutata con facilità. Eppure, osservando il recente (e non solo recente) andamento dei mercati valutari, potremmo tranquillamente dire che questo legame è assolutamente fallace quando si tratta di vedere effettivamente il valore di una valuta, soprattutto se messa in relazione a tutte le altre sul mercato. Quindi il legame tra tassi di interesse e mercato valutario è poco valido oppure dobbiamo fare delle precisazioni? In questo articolo vediamo come considerare tutti i fattori che compongono questa relazione.
Casi storici di rilievo: dollaro post sub-prime
Non dobbiamo andare molto lontano nel corso del tempo per vedere che questa relazione può sembrare assolutamente non valida. Siamo nel 2008, precisamente tra il 2008 e il 2009 quando si scatena il caos sui mercati a causa della crisi dei mutui-subprime e il fallimento di una delle più importanti isitituzioni finanziarie storiche a livello globale, Lehman Brothers. Per capire meglio il clima di quel periodo, oltre a Lehman Brothers, quella notte dovevano fallire altre 4 banche, alcune delle quali forzate a fusioni che prima di quel momento non erano state prese in considerazione, la prima che ci viene in mente è quella tra Bank fo America e Merrill Lynch, ora racchiuse in un’unica istituzione brandizzata BofA Securities.
La liquidità scarseggiava, i margini di moltissimi derivati forward (e non solo) erano stati bruciati e andati in rosso, la liquidità scarseggiava. In pratica, dovessimo paragonare il sistema economico americano a un corpo umano, potremmo dire che il 2008 è stata come una forte emorragia interna che ha causato una perdita di sangue talmente elevata che si necessitava il più possibile di cure immediate e trasfusioni senza limite (mi perdonino gli esperti di medicina), il paziente non doveva assolutamente morire. Mancava la liquidità, ed ecco che il governo Usa, insieme alla Fed, promuovono il Tarp, un piano di acquisto titoli che serviva ad aiutare il sistema bancario e assicurativo, un mostro di liquidità da ben 7700 miliardi di dollari, una cifra mai vista sui mercati finanziari.
Inoltre, ovviamente, in questo clima di assoluta emergenza, ecco che la Fed abbassa i tassi di interesse e li porta prossimi allo 0%, il tutto per alimentare di nuovo il circuito economico che era andato sostanzialmente in crash sistemico. In questo contesto, cosa avrà fatto il dollaro nei mesi successivi? A livello logico, secondo quanto affermato a livello accademico, il dollaro doveva scendere di valore in quanto a un tasso di interesse basso e una maggior liquidità sul mercato, corrisponde un deprezzamento della valuta. Bene, dal 2009 al 2011 il dollaro è rimasto più o meno sui minimi raggiunti prima del 2009 per poi ripartire al rialzo apprezzandosi di circa il 40% in 5 anni.
Casi storici di rilievo: La situazione attuale
Dalla crisi di Lehman abbiamo visto delle forti anomalie di mercato. La prima in assoluto riguarda il dollaro che, invece che deprezzarsi ulteriormente ha visto dei fortissimi apprezzamenti nel lungo periodo a scapito di tutte le altre valute sul mercato, euro e sterlina in primis. Dopo il 2009, la Fed stampava denaro e il terremoto finanziario è arrivato anche in Europa con la crisi greca e il quasi fallimento ellenico che avrebbe portato, sempre per rischio sistemico, alla fine dell’Europa. Anche qui, molte iniezioni di liquidità all’interno del sistema, tassi portati allo 0% e alla fine l’Euro dal 2012 al 2014 passa da 1,20 a 1,40 contro il dollaro, un apprezzamento del 15% in 2 anni.
Un movimento assurdo considerando la situazione globale. Negli anni successivi, dopo aver arginato il problema del debito greco, l’euro crolla sotto i colpi di un’inflazione che stentava a decollare, anzi, c’è stato per parecchio tempo il rischio della deflazione, quindi un’inflazione prossima allo 0% con forti rischi sul lato degli investimenti. In questo contesto troviamo una valuta che ha seguito i dettami secondo cui a un tasso di interesse basse corrisponde un deprezzamento della valuta.
Il problema avviene dopo, ossia negli ultimi mesi, quando l’inflazione è salita molto rapidamente, già da prima dello scoppio della pandemia e della guerra in Ucraina, un movimento che a livello macroeconomico porta gli operatori a pronosticare un prossimo e certo aumento del tasso di interesse, movimento che dovrebbe portare l’euro a rivalutarsi. Invece, succede l’esatto opposto, ossia l’euro abbandona già una zona di depressione intorno ad area 1,10 per scendere, come abbiamo visto di recente, al di sotto della parità con il dollaro. La confusione in questo senso risulta assolutamente legittima, tant’è che bisogna rivalutare la bontà di questa affermazione e contestualizzare di nuovo quanto detto finora circa l’affermazione “se sale il tasso di interesse, si rafforza la valuta. Se i tassi scendono la valuta si indebolisce”.
Tassi di interesse e valute, un legame solido?
Dobbiamo innanzitutto precisare una cosa assolutamente fondamentale. Il mercato valutario è un mercato, pertanto il valore di una valuta non è stabilito dal tasso di interesse ma dalla domanda e offerta per quella valuta. Domanda e offerta non sono influenzabili facilmente dall’esterno in quanto i motivi per comprare/vendere delle valute sono molteplici e soprattutto rilevanti in base al contesto macroeconomico in atto in quel momento.
Il tasso di interesse è uno strumento che ha una forte influenza sull’ammontare di liquidità all’interno di un sistema economico e non direttamente sul valore di una valuta. Si assume, con molta approssimazione, che un tasso di interesse rappresenti il prezzo di una valuta, in realtà ne rappresenta il “costo del denaro” in quel momento, un prezzo che può essere più conveniente o no per una valuta rispetto a un’altra.
Prendendo ad esempio la situazione attuale, dove l’euro è stato venduto in modo molto forte e il dollaro è stato comprato: il mercato ha probabilmente preferito comprare dollari in quanto la Fed ha deciso già in via preventiva un programma di aumento tassi che possiamo definire “certo”, più che probabile e di conseguenza il mercato ha comprato dollari, visti come un asset che offre un rendimento certo, a differenza di euro. In questa ottica, molto probabilmente, arriverà il momento in cui la Bce farà un programma di rialzi dei tassi valido e “certo”, un momento che sembra essere molto vicino in ordine temporale, quindi è possibile vedere una dinamica rialzista di euro nel momento in cui il mercato penserà che sia conveniente comprare euro sul mercato.
A muovere il mercato, considerando questo legame in modo approssimativo, sono le dinamiche future dei tassi di interesse e della liquidità e non solo il movimento di questi ultimi al rialzo o al ribasso. Come al solito non esistono regole certe sui mercati, o meglio, esistono ma necessitano di specificazioni che meglio ci fanno capire come funzionano le dinamiche di mercato, per loro natura incerte.
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