Dopo la denuncia del Sudrafrica, oggi si apre presso la Corte Internazionale di Giustizia il processo per genocidio contro Israele.
Israele dovrà comparire davanti i giudici della Corte Internazionale di Giustizia con sede a L’Aia, in Olanda, per difendersi dall’accusa di genocidio. A denunciare la nazione è il Sudafrica con tale accusa: «Israele ha commesso, sta commettendo e vuol continuare a commettere atti di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza».
La nazione africana ha depositato la denuncia lo scorso 29 dicembre. Un fascicolo di 84 pagine in cui Pretoria accusa Israele di aver violato la “Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di Genocidio”, firmata nel 1948 da oltre 150 paesi, compresi appunto Israele e Sudafrica.
Pretoria sostiene che le violenze di Israele commesse nella Striscia di Gaza «rivestono carattere di genocidio perché accompagnano l’intento specifico richiesto di distruggere i palestinesi di Gaza in quanto parte del gruppo nazionale, razziale ed etnico più ampio dei palestinesi».
Il piano israeliano prevede anche l’uccisione di civili impedendo loro di avere accesso a acqua, cibo e cure mediche. I civili vengono colpiti in maniera indiscriminata e ad avallare le accuse, nel dossier sono allegate anche alcune dichiarazioni rese da ministri israeliani. Frasi come «stiamo combattendo contro animali umani» dette dal ministro della Difesa. O quelle del ministro della Sicurezza Nazionale: «Quando diciamo che Hamas dovrebbe essere distrutto, intendiamo anche coloro che festeggiano, coloro che sostengono e coloro che distribuiscono caramelle».
Il Sudafrica chiede misure cautelari come l’ordine ad Israele di cessare il fuoco e consentire l’accesso di più aiuti militari nella Striscia.
La reazione di Israele
Israele ha negato le accuse rigettandole al mittente, quindi al Sudafrica. Davanti ai giudici si difenderà sostenendo che l’uccisione di civili è involontaria perché Hamas ha nascosto le sue infrastrutture militari tra i centri abitati di Gaza e infiltrato i suoi uomini fra la popolazione civile. Citerà poi i milioni di volantini in arabo che Israele ha lanciato nelle aree di Gaza prese di mira e delle decine di migliaia di telefonate e sms ricevuti dai civili con l’invito ad evacuare.
L’accusa a Israele sarà affrontata oggi e domani dinnanzi alla Corte Internazionale di Giustizia. Due udienze pubbliche, dalle 10 alle 12 del mattino, in cui le due delegazioni in due ore di tempo dovranno spiegare le loro ragioni. Inizierà oggi l’accusa con la delegazione sudafricana che illustrerà le ragioni. Domani toccherà ad Israele difendersi con il team di legali dello Stato ebraico.
Saranno 15 i giudici chiamati a rispondere alle accuse del Sudafrica. A sostenere la denuncia ci sono i 57 paesi che fanno parte dell’Organizzazione dei Paesi Islamici. A difendere l’operato di Israele troviamo gli Stati Uniti. L’Unione Europea, che si è comunque alleata con Israele fin dall’inizio, al momento non si è espressa sulla vicenda.
Cosa rischia Israele
La Corte Internazionale di Giustizia può decidere o a favore o contro la denuncia ma può anche non esprimersi. Per misure urgenti la decisione potrebbe arrivare in poche settimane, due mesi al massimo. In caso di accoglimento della denuncia, i giudici potrebbero chiedere l’immediato e totale cessate il fuoco o misure più moderate come far entrare un maggior numero di aiuti all’interno della Striscia di Gaza. La decisione è definitiva e inappellabile ma ha limiti oggettivi. Sulla carta sono vincolanti per gli Stati ma spesso le decisioni vengono ignorate. La stessa cosa è successa già con la Russia. Nel marzo 2022 è stato emesso un ordine provvisorio vincolante contro la Russia, chiedendo a Mosca di fermare la guerra contro l’Ucraina. Decisione che il Cremlino ha ignorato.
Una mancata esecuzione della sentenza dà diritto alla parte adempiente a ricorrere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ma in questo caso Israele non corre troppi pericoli perché potrà contare sul veto americano verso eventuali misure nei suoi confronti. Quindi anche se Israele venisse condannata a fermare gli attacchi, la nazione può permettersi di non rispettare tale obbligo. Ciò porterà comunque una macchia sulla reputazione e un isolamento internazionale.
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