La crisi economica della Germania è davvero così profonda? La nazione tedesca, locomotiva d’Europa, vacilla tra dati macro oscillanti e sfide strutturali che allertano tutto il continente.
Germania: la crisi economica della più importante potenza europea continua ad attirare l’attenzione degli analisti. La debolezza della nazione tedesca, oggi individuata come il malato d’Europa, è senza dubbio un tema cruciale per capire quanto stia diventando difficile per il vecchio continente ritrovare la stabilità e una sana crescita.
I dati macro che riguardano Berlino sono quindi valutati con scrupolo, come sta accadendo agli ordini alle fabbriche tedesche di giugno da poco pubblicati. Nello specifico, gli ordini industriali della Germania sono aumentati contro le aspettative di un calo, trainati dai forti guadagni nel settore aerospaziale.
Gli analisti, però, restano divisi sul fatto che la lettura si traduca realmente in una ripresa credibile e sostenibile nel tempo. La crisi tedesca non sembra finita: tutti i fattori da osservare.
Germania: a che punto è la crisi economica? Un’analisi
I dati dell’ufficio statistico federale tedesco di venerdì hanno mostrato che gli ordini in entrata alle fabbriche sono aumentati del 7,0% da maggio su base stagionale e aggiustata per il calendario. Un sondaggio di analisti Reuters aveva indicato un calo del 2,0%.
Il risultato è davvero una vittoria per la Germania e le nubi della crisi stanno svanendo? Non proprio. Gli ordini nel settore delle attrezzature di trasporto, esclusi i veicoli a motore, sono balzati dell’89,2%, ha affermato l’ufficio, attribuendo tale salto a un’importante transazione aerospaziale. Nello specifico, ciò coincide con un picco della domanda di Airbus SE, che ha ricevuto 902 ordini di aeromobili a giugno. Il più grande produttore di aeroplani del mondo ha uno stabilimento importante ad Amburgo, con unità più piccole sparse nel resto della Germania.
Escludendo i grandi ordini, però, l’attività mensile complessiva sarebbe diminuita del 2,6% a giugno.
“A questo proposito, il plus di oggi è difficilmente sostenibile”, ha detto il capo economista di Commerzbank Joerg Kraemer, aggiungendo che la tendenza degli ordini industriali è ancora al ribasso.
Prudenza e incertezza dominano ancora il sentiment nei confronti della locomotiva d’Europa. E le prove di una fragilità diffusa ci sono.
La debole economia globale e gli alti costi energetici rimangono un peso per il settore tedesco, ha affermato Alexander Krueger, capo economista della banca Hauck Aufhaeuser Lampe. “Il pollice sul settore industriale non è rivolto verso l’alto. Per il momento, probabilmente sarà sufficiente solo per una tendenza laterale”, ha affermato.
Le prospettive sono poco promettenti ancora, con i Pmi manifatturieri per luglio che dipingono un quadro molto difficile in Germania. L’industria ha risentito della scarsa domanda in Cina, la seconda economia mondiale, che a sua volta sta perdendo slancio.
“La contrazione in Italia e la stagnazione in Germania sono segnali che l’economia dell’unione monetaria rimane debole. Aggiungilo alle letture inferiori del Pmi e al rapido inasprimento delle condizioni del credito e i politici hanno molte ragioni per preoccuparsi”, secondo un analista di Bloomberg.
Le sfide che Berlino - e l’Europa in generale - devono affrontare sono quindi ancora molte. Alcuni spiragli per la ripresa, comunque, non mancano. Thomas Gitzel, capo economista di VP Bank, ha affermato che il quadro generale per il 2023 è sembrato finora relativamente incoraggiante, osservando che, ad eccezione di marzo, i nuovi ordini sono aumentati costantemente di mese in mese in Germania.
Tuttavia, la nazione tedesca sta vivendo un periodo complesso e ricco di cambiamenti nella sua struttura produttiva.
Perché l’economia tedesca preoccupa ancora
In una interessante analisi di Atlantic Council sul Pil dell’Europa a inizio agosto, è emerso come il traino della crescita economica della regione si sia spostato - sorprendentemente - al Sud. Un segnale, quest’ultimo, della difficoltà tedesca e dei cambiamenti in corso nell’economia generale scioccata da pandemia prima e guerra poi.
Per esempio, gli analisti hanno fatto notare che il turismo e la domanda di servizi, beni di lusso e altri manufatti leggeri hanno spinto la resilienza economica del continente. “Ciò significa che i Paesi più orientati verso questi settori, come la Francia e le grandi economie del Sud Europa, hanno fatto la parte del leone nella crescita economica europea. Se pesiamo le proiezioni di crescita economica in base alla quota di ciascun paese del Pil europeo, Spagna, Italia e Francia saranno probabilmente i maggiori contributori alla crescita dell’Ue nel 2023”, hanno scritto in una nota.
La Germania, invece, così dipendente da esportazioni manifatturiere pesanti rispetto ai suoi pari si trova impantanata in un ambiente commerciale globale incerto, con la carenza di lavoratori da gestire e sussidi in aumento negli Stati Uniti e in Cina che cambiano la competizione mondiale su alcuni settori chiave quali l’automotive.
Non a caso, il German Economic Institute ha affermato in uno studio che la capacità della Germania di attrarre investimenti delle imprese ha subito un calo “allarmante” lo scorso anno, quando più di 135 miliardi di euro di investimenti diretti esteri sono usciti dal Paese e ne sono entrati solo 10,5 miliardi.
Intanto, gli Stati Uniti offrono grandi sussidi per invogliare gli investimenti da parte di aziende in vari settori, compresi i veicoli elettrici e le energie rinnovabili, attraverso l’Inflation Reduction Act, che secondo i ricercatori ha accelerato i deflussi di investimenti dalla Germania.
Il vasto settore manifatturiero tedesco ha subito una flessione negli ultimi mesi, colpito dal forte aumento dei prezzi dell’energia dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia lo scorso anno, nonché dal calo degli ordini, dalla debole crescita delle esportazioni e dalla perdita di quote di mercato per le auto elettriche.
In sostanza, il modello di esportazione tedesco non funziona più come prima con il crescente protezionismo secondo il rapporto.
C’è poi il dilemma Cina che sta colpendo la Germania. All’inizio di questo mese, Berlino ha avvertito le sue aziende di ridurre la loro dipendenza da Pechino mentre adottava la sua prima strategia cinese, sottolineando che il governo non avrebbe sostenuto chi fosse stato vittima del crescente rischio geopolitico.
Una posizione, che ricalca quella europea in generale, che appare molto ambigua e pericolosa alle aziende.
Il capo del più grande fornitore di componenti per auto in Europa, la tedesca Bosch, ha esortato infatti i governi europei a dedicare più tempo a migliorare la competitività dell’Ue invece di concentrarsi sui rischi che le aziende affrontano facendo affari in Cina.
La gestione di questo delicato passaggio dalla globalizzazione a un nuovo intreccio di relazioni commerciali dettate dalla geopolitica sarà cruciale per l’economia tedesca, ora in affanno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA