La banca d’affari newyorchese tratteggia uno scenario da incubo per l’Europa. E il nostro Paese in particolare. Ritenendo ineludibile un meccanismo che spalmi l’attuale picco sui prossimi 10-20 anni
In principio, fu la negazione stessa del problema. Poi cominciò il tour mondiale alle ricerca di fonti alternative al gas russo e la corsa allo riempimento degli stoccaggi. Arrivò poi Ferragosto, foriero dei primi pensieri autunnali. E il piano di razionamenti fino ad allora enunciato unicamente come pura ipotesi precauzionale, divenne realtà. Ovviamente, sfumato nei toni e occultato nei contenuti. Ora invece lo conosciamo.
E occorre essere duplicemente realisti. Se infatti da un lato è chiaro che restrizioni e divieti in esso contenuti non appaiono certo draconianamente bellici, dall’altro dobbiamo ammettere che si è andati ben oltre il singolo grado di riscaldamento in meno o l’ora di caloriferi accesi a cui rinunciare. Si parla di impianti attivati quindici giorno dopo il normale, di docce più brevi e soprattutto di vademecum sull’utilizzo degli elettrodomestici. E se chi ha la sventura di sostenere la propria squadra attraverso le dirette di DAZN è già abituato agli stand-by forzati del televisori, gli altri dovranno farci i conti. Insomma, non è certo l’inverno di sofferenza per gli italiani evocato dalla portavoce del ministero degli Esteri russo. Ma nemmeno la passeggiata salutare che tratteggiava fino a ieri il ministro Cingolani. Il problema esiste.
E non perché lo evochino Maria Zakharova o lo spot di Gazprom. Bensì perché le evidenze cominciano a giungere quotidianamente sotto forma di allarmi e cifre. Tutte di fonte occidentale. E tutt’altro che filo-russa. Il primo a strappare il velo di ipocrisia imperante è stato il vice-presidente del gigante energetico norvegese Equinor, Helge Haugane, a detta del quale il trading di energia europeo rischia di bloccarsi del tutto, se i governi non daranno vita a un fondo permanente di liquidità per coprire margin calls che già oggi sono quantificabili in almeno 1,5 trilioni di euro per le utilities continentali.
E se questo non bastasse. ecco che a mettere in dubbio la spavalderia del ministro Cingolani e del suo perentorio non prendiamo ordini da nessuno, i sacrifici cono contenuti in risposta alle minacce di Mosca, ci ha pensato Goldman Sachs. La versione integrale e definitiva del suo report sulla crisi energetica europea in vista del vertice di dopodomani, infatti, vede l’Italia presa come caso di studio per l’intera valutazione prospettica. E le risultanze sono tutt’altro che piacevoli od ottimistiche. A partire da questo grafico,
il quale mostra l’evoluzione del costo mensile della bolletta energetica per la famiglia italiana media, in base alla curva dei prezzi attuali sulle scadenze futures a 1 anno. In base al worst case scenario dei flussi zero da parte russa, il costo salirebbe già a inizio 2023 a circa 500 euro al mese. Per famiglia. Mettiamo pure che sia composta da due genitori entrambi lavoratori con uno stipendio da 1.500 euro a testa, un sesto delle entrate verrebbe eroso da gas e luce.
Ma non basta. Perché queste altre due immagini
ampliano il quadro al contesto europeo. E se nel primo caso, la proiezione è quella di costi energetici che - ai prezzi attuali - diverranno tali da assorbire il 20% del reddito medio. nel secondo vediamo il dato prospettico di un aumento per l’Europa nella sua interezza pari a 2 trilioni di euro in spesa energetica, qualcosa come il 15% del Pil dell’eurozona.
Infine, questa ultima immagine
è quella che deve farci maggiormente riflettere, se non altro poiché designata dal team di Goldman Sachs come modello generale di impatto su parametri ancora una volta tutti italiani. La banca newyorchese parla chiaramente di tariff deficit, un deficit da bolletta che dovrà giocoforza essere adottato al fine di spalmare su 10-20 il recente balzo dei prezzi energetici, in modo da permettere alle varie utilities di mettere preventivamente in sicurezza i pagamenti futuri. Ed evitare le potenziali margin calls evocate dal vice-presidente di Equinor. Il tutto cercando di limitare al minimo la distruzione di domanda, disinnescando i rischi regolatori e limitando il declino di breve termine della produzione industriale.
Insomma, sicuramente non siamo di fronte all’inverno di congelamenti e lacrime evocato dalla Zakharova per l’Italia. Ma nemmeno in presenza di una contingenza una tantum destinata a sparire nell’arco di poche settimane. Anche perché indebitarsi o stampare valuta per pagare (in dollari) energia importata, mentre la Banca centrale alza i tassi e i governi si imbarcano in duplici attività di deficit appare il mezzo migliore per distruggere una valuta. E l’euro a quota 0.99 sul dollaro per la prima volta in 20 anni, forse appare un proxy da non sottovalutare. Ma non ditelo al ministro Cingolani.
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