Trenta aziende farmaceutiche minacciano di lasciare l’Europa per gli Stati Uniti. Si moltiplicano le richieste per riforme urgenti, restare competitivi e difendere la ricerca. Ecco cosa sta accadendo.
La guerra commerciale tra Stati Uniti e il resto della comunità internazionale continua. Dopo la guerra dei dazi contro la Cina, per cui si spera si raggiunga presto un accordo, nel pieno delle crescenti tensioni commerciali, un duro colpo potrebbe abbattersi sull’industria farmaceutica europea.
In una lettera indirizzata l’11 aprile alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, i dirigenti di 32 aziende farmaceutiche — tra cui giganti come Pfizer, Sanofi, Roche e Novo Nordisk — hanno lanciato un allarme senza precedenti: senza interventi rapidi e decisi da parte delle istituzioni europee, oltre 16 miliardi di euro di investimenti potrebbero spostarsi negli Stati Uniti entro tre mesi.
Le aziende, preoccupate da un quadro normativo rigido e da politiche sui prezzi giudicate penalizzanti, chiedono “misure coraggiose” in cambio dell’impegno ad aumentare la propria quota di mercato sul continente. La loro posizione è chiara: o l’Europa diventa più attrattiva per l’innovazione, o le multinazionali guarderanno oltreoceano, dove gli Stati Uniti offrono oggi prospettive migliori in termini di ritorno economico, flessibilità normativa e sostegno alla produzione.
Insomma è in gioco la permanenza stessa dell’industria farmaceutica nel continente. E Bruxelles dovrà decidere in fretta come rispondere. Ma perché le aziende desiderano lasciare l’Europa, e quali sono le “misure coraggiose” che l’UE dovrebbe adottare? Ecco tutto quello che c’è da sapere a riguardo.
Aziende farmaceutiche in fuga verso USA: ecco perché
La lettera firmata da trenta dirigenti dell’industria farmaceutica rappresenta un segnale di forte insoddisfazione nei confronti dell’ambiente operativo europeo. Le aziende lamentano un’erosione progressiva degli investimenti in ricerca e sviluppo, dovuta principalmente alle rigidità regolatorie, ai tempi troppo lunghi per l’approvazione dei farmaci e a una politica dei prezzi considerata poco competitiva rispetto a quella statunitense.
Attualmente, la quota europea nel mercato farmaceutico globale è del 22,7%, ma secondo le aziende firmatarie, senza riforme urgenti, questa percentuale continuerà a calare. I vertici di aziende come Eli Lilly, Merck, GSK e Servier chiedono una revisione del sistema di rimborso e dei prezzi, una semplificazione del processo di autorizzazione clinica e un rafforzamento del ruolo dell’Agenzia europea per i medicinali, che dovrebbe diventare un punto di riferimento globale per l’innovazione terapeutica.
A peggiorare la situazione, secondo i firmatari, vi è anche l’implementazione di normative ambientali come la nuova direttiva sul trattamento delle acque reflue, che rischia di gravare eccessivamente sul settore senza portare benefici proporzionati. Le aziende sottolineano come tutto ciò renda l’Europa meno attrattiva rispetto agli Stati Uniti, dove — nonostante le sfide interne — il contesto normativo ed economico appare più favorevole. Non è un caso che aziende come Novartis, Eli Lilly e Johnson & Johnson abbiano già annunciato investimenti miliardari negli Stati Uniti, in alcuni casi fino a 55 miliardi di dollari.
Negoziazioni USA e riforme UE: due mondi a confronto
Mentre l’Europa cerca una risposta alle pressioni dell’industria, gli Stati Uniti stanno adottando politiche sempre più aggressive per attrarre investimenti farmaceutici e ridurre al contempo i prezzi dei medicinali per i cittadini. Da un lato, il governo statunitense ha negoziato forti riduzioni dei prezzi per i farmaci acquistati da Medicare, il sistema pubblico di assicurazione sanitaria, con sconti tra il 38% e il 79% su dieci farmaci a partire dal 2026. Dall’altro, è stata aperta la strada all’importazione di medicinali da paesi con prezzi più bassi, come il Canada, per contrastare i costi elevati sul mercato interno.
Anche Donald Trump ha rilanciato sul tema, firmando un ordine esecutivo che mira a facilitare l’importazione di farmaci economici da parte degli Stati americani, e a rendere più omogenee le regole per la negoziazione dei prezzi da parte di Medicare. Sebbene il quadro normativo statunitense sia complesso, le aziende farmaceutiche lo considerano più favorevole rispetto all’Europa, in particolare per l’approccio meno restrittivo sui prezzi e per l’accesso a un mercato vasto e ricco.
Di fronte a questo scenario, le richieste delle aziende all’Unione Europea sono chiare: politiche industriali mirate, rafforzamento dell’innovazione, e maggiore competitività del mercato europeo. L’obiettivo è evitare che la guerra commerciale in corso si trasformi in un’emorragia irreversibile di investimenti e know-how, con effetti devastanti per l’economia e la salute pubblica europee.
La posta in gioco è alta: mantenere in Europa un settore strategico come quello farmaceutico non sarà possibile senza un deciso cambio di rotta.
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