Così la guerra in Israele colpisce l’economia globale

Violetta Silvestri

09/10/2023

La guerra in Israele avrà i suoi effetti anche sull’economia globale, già in sofferenza a causa di alti tassi di interesse e di prospettive di crescita deboli. Cosa può accadere adesso?

Così la guerra in Israele colpisce l’economia globale

La guerra in Israele è tornata prepotentemente sulla scena politica ed economica internazionale e gli effetti di questo nuovo e violento conflitto si stanno già manifestando. I timori sono legati all’allargamento del conflitto in tutta l’area regionale, con protagonisti aggiuntivi quali Iran, Libano ed eventuale appoggi esterni alla difesa israeliana di Usa e no solo.

I mercati finanziari globali sono subito entrati in modalità difensiva, con dollaro, oro, titoli del Tesoro Usa in rialzo con la loro forza attrattiva di asset rifugio.

Gli investitori e gli analisti temono che un’escalation possa coinvolgere Teheran e, forse, gli Stati Uniti. Funzionari della sicurezza iraniani hanno contribuito a pianificare l’assalto di Hamas, ha riferito il Wall Street Journal, citando membri anziani del gruppo militante e di Hezbollah. Gli Stati Uniti, nel frattempo, hanno affermato che stanno spostando un gruppo d’attacco di portaerei nel Mediterraneo orientale e aumentando i propri squadroni di caccia nella regione.

Naturalmente, anche l’Europa è in allerta massima. Con le materie prime come gas e petrolio in aumento, l’economia globale teme altre scosse, con l’inflazione pronta a impennarsi. Cosa può succedere con la guerra in Israele a minacciare ogni equilibrio mondiale.

Petrolio vola con il conflitto in Israele. E l’inflazione globale rischia di crescere

I riflettori dell’economia globale si sono accesi con molta preoccupazione sull’inflazione. Il caos esploso in Israele ha dato nuova linfa alle materie prime, nel timore che la guerra possa interrompere forniture e approvvigionamenti.

I prezzi del petrolio viaggiano con un rialzo di oltre il 3%e anche il gas nel becnhmark olandese di riferimento europeo sta tornando sopra i 40 dollari a megawattora. Questa impennata del settore energetico, sebbene possa essere temporaneo e legato a queste concitate ore di una guerra esplosa all’improvviso, è un importante ostacolo per la lotta all’inflazione.

Lo scenario era già teso sul fronte prezzi, con rinnovati timori che l’energia potesse surriscaldarsi a causa delle vicende incerte sulla guerra in Ucraina e sulla politica Opec (con Arabia Saudita e Russia a tagliare la produzione). Anche la Bce nella sua ultima riunione aveva messo in guardia sulla possibilità di un incremento dei prezzi energetici, a complicare la strategia di politica monetaria.

Ora, l’allarme è davvero reale. Mentre le previsioni di Goldman Sachs Group per il Brent sono rimaste per ora a 100 dollari al barile entro giugno, gli analisti Daan Struyven, Callum Bruce e Farouk Soussa hanno segnalato due potenziali implicazioni degli attacchi alla fornitura globale di petrolio.

In primo luogo, il conflitto riduce la probabilità di una normalizzazione a breve termine delle relazioni israelo-saudite e, di conseguenza, diminuisce la probabilità di una rapida risoluzione dei tagli alla produzione sauditi. In secondo luogo, data la possibilità di una nuova escalation delle tensioni, i rischi per le proiezioni della fornitura di petrolio iraniano sono ora inclinati al ribasso.

L’incertezza sul prossimo futuro domina le valutazioni degli esperti.

In precedenza, il petrolio era aumentato fino al 240%, 45% e 40% durante la Guerra del Golfo del 1990, la guerra in Iraq del 2003 e la guerra in Libia del 2011, con i prezzi che successivamente sono scesi, secondo Gui Chenxi, analista di CITIC Futures Co. Questa volta secondo l’esperto, il conflitto israelo-palestinese non si è ancora diffuso ai vicini Paesi produttori di greggio, avendo un impatto limitato sui fondamentali. Tuttavia, l’avversione al rischio potrebbe sostenere i prezzi e il mercato dovrebbe vigilare su eventuali escalation.

Per Warren Patterson di ING, il premio per il rischio di guerra è tornato sul mercato petrolifero dopo gli sviluppi del fine settimana. Se l’Iran avesse avuto un ruolo in questi attacchi – direttamente o indirettamente – ci potrebbe essere un’applicazione più rigorosa delle sanzioni petrolifere statunitensi contro Teheran, che agirebbe quindi per restringere un mercato già molto ristretto.

In generale, la paura di ritorsioni sulla produzione di greggio c’è. E questo significa prezzi nel caos e pressioni al rialzo sull’inflazione generale. L’avvertimento è tutto per le banche centrali: i tassi più alti hanno trovato una nuova giustificazione?

Attenzione al dollaro

Il dollaro e lo yen giapponese, considerati beni rifugio, sono saliti. L’indice del dollaro si è attestato a 106,32, leggermente in rialzo nel corso della giornata, ma destinato a salire se l’incertezza si fa ancora più allarmante.

“Se scoppia una guerra in qualsiasi parte del mondo, è una buona idea detenere dollari Usa. Non sorprende quindi che il biglietto verde abbia iniziato le negoziazioni ieri sera con qualche guadagno”, ha affermato Ulrich Leuchtmann, responsabile della ricerca su FX e materie prime presso Commerzbank.

Un dollaro forte impatta sulle altre valute, sulle nazioni con debito denominato nel biglietto verde e sugli acquisti di materie prime legate al dollaro.

Un altro problema per le banche centrali

Già sotto accusa per la politica monetaria aggressiva con la promessa di tassi più alti e più a lungo, ora le banche centrali osservano con preoccupazione gli sviluppi in Israele.

Una guerra in Medio Oriente, che si aggiunge a quelle in Ucraina, moltiplica le incertezze sulla crescita economica globale e sul raffreddamento dell’inflazione. Fed e Bce avevano già espresso la convinzione che la battaglia contro l’aumento dei prezzi non era vinta e necessitava, se non di altri aumenti del costo del denaro, almeno di una politica restrittiva agli attuali livelli per un periodo più lungo.

Questo avvertimento aveva sconvolto le obbligazioni, in forte svendita, e depresso le prospettive dei conti pubblici delle grandi economie. Ora, con un conflitto violento, imprevedibile e delicato per gli attori coinvolti, si allargano i rischi. I prezzi del petrolio e del gas in corsa in queste ore pressano l’inflazione e potrebbero convincere le banche centrali che la situazione è talmente precaria da dover ancora aumentare i tassi.

Consumi e domanda, però, ne sarebbero colpiti ulteriormente, mentre mutui, prestiti, investimenti sono già in sofferenza.

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