Anthony Chan, Chief Asia Investment Strategist di Union Bancaire Privée, evidenzia come le proteste interne alla città e la guerra commerciale tra Usa e Cina stiano deprimendo l’economia di Hong Kong, con effetti peggiori dell’epidemia di SARS del 2003
Nel terzo trimestre del 2019, il Pil di Hong Kong si è attestato al -2,9%, decretando ufficialmente l’effetto negativo che stanno avendo le proteste e la guerra commerciale tra Usa e Cina sull’economia. Secondo i dati reperiti la piattaforma Bloomberg, le probabilità di recessione della città nei prossimi 12 mesi sono pari al 65%.
La rivolta a Hong Kong ha effetti che si notano in particolar modo sulle vendite al dettaglio e sul turismo. Il crollo del commercio al dettaglio (-20% a/a rispetto ad agosto-settembre), è stato il più elevato rispetto a tutte le pregresse crisi che la città ha dovuto affrontare nel passato. I segnali indicano addirittura che il calo in essere sia peggiore a quello avvenuto durante l’epidemia di SARS del 2003.
In questo contesto, il deflusso di turisti (in particolar modo quelli della Cina continentale, primaria fonte di fatturato per le società sanitarie e di assicurazioni) ha giocato un ruolo chiave.
Per Anthony Chan, Chief Asia Investment Strategist di Union Bancaire Privée, trade war e proteste potrebbero avere un effetto più devastante della crisi globale del 2007-2008 e di quella asiatica del 1997-1998: “questo potrebbe essere solo l’inizio di una fase recessiva per Hong Kong che potrebbe protrarsi fino al primo semestre 2020 a causa dello stallo politico, anche se i negoziati commerciali tra Cina e Stati Uniti potrebbero progredire con uno spirito di maggior cooperazione”, sostiene l’esperto.
Non solo ombre
Per Chan però, vi è ancora potenziale di crescita a breve termine per Hong Kong, dove le valutazioni restano attraenti e gli operatori stanno aumentando l’ottimismo grazie alla distensione dei rapporti commerciali tra Pechino e Washington.
Se è vero che la recessione avanza con la discesa degli utili, si deve evidenziare come “il calo è stato molto meno drastico rispetto a quanto avvenuto nei precedenti cicli di diminuzione degli utili”.
Il motivo è presto detto: nell’Hang Seng Index è aumentata la presenza di conglomerati e titoli finanziari cinesi, i quali non sono particolarmente esposti al caos di Hong Kong.
Multipli indicano un limitato potenziale rialzo
I P/E forward dell’Hang Seng Index si sono leggermente ripresi dal minimo di 10x raggiunto lo scorso agosto, attestandosi a 11x. “I livelli di aprile/inizio maggio dei multipli forward, di circa 11,7x - dove gli investitori erano più ottimisti riguardo a una tregua commerciale temporanea - restano il nostro riferimento al rialzo per l’HSI”, sottolinea Chan.
In sostanza, basandosi sui livelli attuali, un calo degli utili al range che va dal 2% al -5% potrebbe dare modo ai multipli forward di attestarsi a livelli compresi tra 10,8x e 11,6x, livelli che indicano un potenziale di rialzo limitato.
“Tuttavia, il nostro scenario di base prevede ancora spazio per valutazioni in rialzo a circa 11,7x del P/E forward e, anche nell’eventualità di una riduzione degli utili in un range tra +2% a -5%, suggerisce un livello dell’Hang Seng Index compreso tra 29.820 e 27.780 punti”, chiosa l’esperto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA