L’Ue sembra impantanata in una duplice trappola: la relazione commerciale con la Cina e la necessità di sviluppare un’industria tecnologica innovativa e indipendente.
Europa e Cina sono sull’orlo di una guerra commerciale, mentre cercano un equilibrio tra la difesa di interessi nazionali strategici e il mantenimento di una seppur minima cooperazione economica necessaria a entrambe.
Pechino ha avvertito venerdì che i crescenti attriti con l’Unione europea sulle importazioni di veicoli elettrici potrebbero innescare una guerra commerciale, mentre il ministro dell’Economia tedesco è arrivato nella capitale cinese con le tariffe proposte in cima alla sua agenda. Tra le sue prime dichiarazioni c’è stata quella rassicurante sul fatto che i dazi non vengano considerati una punizione.
Il viaggio di tre giorni di Robert Habeck in Cina è il primo di un alto funzionario europeo da quando Bruxelles ha proposto dazi pesanti sulle importazioni di veicoli elettrici di fabbricazione cinese per combattere i sussidi eccessivi. Ciò potrebbe scatenare contromisure da parte della Cina e dure critiche da parte dei leader cinesi.
Intanto, in attesa del nuovo assetto istituzione Ue, la relazione con il dragone è una questione complessa e irrisolta. Perché Pechino è un problema cruciale per l’Europa?
Europa, il problema Cina e il nodo innovazione
Come affermato in un articolo di Politico.eu, esattamente un anno dopo che il capo della Commissione europea Ursula von der Leyen ha fatto una grande promessa di proteggere la tecnologia e la ricerca critiche da potenze ostili, l’Ue non ha ancora capito come affrontare il suo principale rivale strategico: la Cina.
Il blocco non riesce a trovare la giusta soluzione per portare avanti iniziative che mirano a proteggere le innovazioni europee, in particolare in quattro tecnologie all’avanguardia: semiconduttori avanzati, intelligenza artificiale, tecnologia quantistica e biotecnologia.
La strategia di sicurezza economica, svelata da von der Leyen in un ambizioso discorso 12 mesi fa, definisce un’agenda incentrata sulla gestione dei rischi per la resilienza delle catene di approvvigionamento, delle infrastrutture critiche, sulla sicurezza e sulle fughe di informazioni tecnologiche e sulla dipendenza economica.
In base a tale piano, le quattro tecnologie sensibili sarebbero soggette a misure quali il controllo delle esportazioni e lo screening degli investimenti in uscita. Tuttavia, nei mesi successivi sono emerse preoccupazioni nelle capitali nazionali che l’esecutivo dell’Ue stesse esagerando con questa strategia difensiva dei propri interessi.
Il vero problema dell’Europa non è difendere la sua proprietà intellettuale, ma il fatto che è in ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina nell’innovazione, soprattutto nei settori dei semiconduttori avanzati e dell’intelligenza artificiale, avvertono i gruppi di pressione.
“Una strategia difensiva non vincerà. Dobbiamo garantire che le aziende tecnologiche, lungo l’intera catena di fornitura, possano nascere, espandersi e rimanere in Europa, supportate da partenariati con paesi che la pensano allo stesso modo”, hanno affermato il gruppo di lobby tecnologica Digital Europe e la società di consulenza Frontier Economics.
Cina, rivale o partner per l’Europa?
Gli sforzi di Von der Leyen sono destinati a subire un altro colpo poiché l’Ungheria, desiderosa di costruire legami amichevoli con la Cina, prenderà presto le redini del Consiglio dell’Ue – il ramo intergovernativo del blocco – per un mandato di sei mesi. Budapest ha già sottolineato il suo profondo scetticismo nei confronti del pacchetto nel suo complesso.
Tra le iniziative della strategia, lo screening degli investimenti in uscita è la più delicata, poiché sostanzialmente impedirà ai Paesi dell’Ue di produrre microchip avanzati o tecnologie di intelligenza artificiale in luoghi inaffidabili come la Cina.
Nel documento si afferma che diversi Stati “hanno sollevato la questione della governance della strategia di sicurezza economica” in riunioni a porte chiuse sugli investimenti in uscita, così come la mancanza di dati disponibili per monitorare i flussi di investimenti in uscita dai Paesi europei e la mancanza di un base giuridica chiara.
La questione non è solo burocratica, ma chiama in causa anche le relazioni che i Paesi hanno con partner come la Cina. E che non vogliono affossare con così tanta facilità. D’altronde, anche la Germania non si è mostrata così entusiasta della politica dei dazi ai veicoli elettrici cinesi. In gioco ci sono relazioni commerciali preziose e storiche.
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