Il moltiplicarsi di offerte e sconti non è solo legato a esigenze di consumo ma al consolidamento di un modello basato su indebitamento strutturale e dumping salariale. Ma da non percepire come tale
Non ho nulla contro il Black Friday. Né contro il consumismo in genere. Ritengo che ognuno debba essere libero di spendere i soldi che guadagna come preferisce. Anche acquistando cosa inutili o accumulando scarpe che non potrà mai mettere, a meno di non camminare 23 ore al giorno per tutta la vita. Giova infatti ricordare che alla base del successo di un film culto come Fight club, la Bibbia dell’anti-consumismo, ci sono i soldi di Starbucks e Budweieser che lo hanno finanziato. E ottenuto products placement. .
Chiuse parentesi e premessa, in sé il Black Friday non è più quello originariamente nato nei Paesi anglosassoni. Primo, perché mediamente dura una settimana. Secondo, perché l’e-commerce garantisce dumping sui prezzi retail tutto l’anno e h24. Terzo, perché conseguentemente il commercio al dettaglio tradizionale ha moltiplicato le occasioni per ribassare i prezzi, dalle mid-season sales alle vendite private che, in realtà, sono aperte a chiunque si registri sul sito.
Oggi, poi, c’è un quarto fattore. Enorme. Il cosiddetto bullwhip effect, l’effetto colpo di frusta quasi sempre legato a criticità sulla supply chain o drastico regime di contrazione dei consumi che genera da un aumento tale delle scorte da obbligare la catena a smaltirle. E per farlo, saldi e occasioni. Qual è quindi il problema? Il dumping strutturale che un simile sistema presuppone e necessita per non crollare. [...]
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