C’è modo e modo di fare utili d’impresa: tagliando i costi e spremendo gli impianti fino al fallimento, oppure investendo in innovazione e capitale umano.
Il Governatore della Banca d’Italia, nello svolgere le sue recenti Considerazioni finali, si è soffermato sulla necessità di assicurare afflussi di manodopera regolare dall’estero per agevolare la attività produttiva che soffre per una scarsa dinamica demografica interna: le imprese italiane hanno bisogno di immigrati per soddisfare la loro offerta di lavoro.
Purtroppo, non è stato citato il fenomeno inverso, che sta impoverendo drammaticamente l’Italia. I dati dell’Istat, riferiti al 2021, sono agghiaccianti: non solo c’è stata una migrazione interna spaventosa, con un milione e 423 mila persone che hanno abbandonato i piccoli centri e le aree meridionali, ma a fronte di una immigrazione dall’estera censita ufficialmente, di 318 mila unità, ben 94 mila italiani hanno lasciato il Paese. Se un emigrato italiano su tre ha un’età compresa tra 25 e 34 anni, arrivando ad un totale di 31 mila unità, ben 14mila solo tra costoro avevano una laurea o un titolo superiore alla laurea.
C’è un modello di crescita insoddisfacente, in Italia, che ha dietro una questione di soldi, di investimenti che non si fanno e di salari che stagnano.
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