Incendi in Amazzonia: concessioni petrolifere, gas flaring, emissioni e molto altro
L’informazione globale oggi è prevalentemente e a ragione concentrata sugli incendi nella foresta pluviale amazzonica, che ha una superficie di circa 5,91 milioni di Kmq, circa 20 volte la superficie italiana.
Gli incendi riguardano l’Amazzonia brasiliana che occupa il 60% della foresta. Giustamente si evidenzia il contributo che la foresta pluviale fornisce nell’assorbimento di diossido di carbonio - maggiore responsabile dell’aumento di temperatura del pianeta - e anche quella CO2 che emette una vota bruciata.
Incendi Amazzonia: occhio alle emissioni
Nulla o poco viene detto sulle concessioni petrolifere, che riguardano circa il 10,5% dell’Amazzonia (621 mila kmq, ossia un’area che è il doppio della Gran Bretagna) e del fenomeno del gas flaring ai fini delle emissioni. Nell’intera Amazzonia ci sono 5.065 pozzi per l’estrazione di petrolio e gas. Il 67% del territorio amazzonico dell’Ecuador e il 35% dei territori amazzonici di Bolivia e Colombia sono coperti da concessioni di petrolio e gas. In Perù circa il 24% dei territori indigeni ricade in concessioni di petrolio e gas.
Nella Conferenza di Parigi sul clima di due anni fa, a ottobre 2018 con il Rapporto speciale IPCC sui cambiamenti climatici e, infine, su Nature si richiedono politiche di superamento dei combustibili fossili per contenere l’effetto serra sotto i 2°C entro il 2050. Questo obiettivo richiede che circa l’80% delle riserve di carbone, il 50% di quelle di gas ed il 30% delle riserve di petrolio rimangano inutilizzate, stoccate nel sottosuolo.
Addirittura il limite di sicurezza dell’incremento di temperatura è stato abbassato a 1.5 C°, rispetto rivoluzione industriale (1750/1800). Sicurezza che vuol dire possibilità di gestione degli effetti prodotti dal cambiamento climatico. Lo stato dell’Ecuador occupa lo 0,02 per cento della superficie del pianeta ma ospita circa il 10 per cento della biodiversità mondiale. Questo quasi unico patrimonio naturalistico si concentra in particolare nell’Amazzonia ecuadoriana.
Il gas flaring
Quest’area di stupefacente biodiversità abitata dalla popolazione indigena Waorani, è sempre più minacciata dalle attività di estrazione di petrolio e gas e dal fenomeno del gas flaring. Letteralmente “ gas flaring” è “ combustione di gas” e consiste nel bruciare a cielo aperto gas naturale ed è un fenomeno che si verifica quando, al momento dell’estrazione del petrolio, il gas associato non viene sfruttato, né reinterrato nel terreno, ma viene lasciato fuoriuscire liberamente, provocando alte fiamme e il rilascio nell’aria di sostanze tossiche.
Un fenomeno - questo del gas flaring - che perdura da 20 anni e contribuisce in maniera rilevante al riscaldamento globale e nessuno nei negoziati internazionali ha trattato il problema e soprattutto ha introdotto norme vincolanti. Il dato ultimo di alcuni anni fa parla di 170 mld di metri cubi che è una quantità enorme equivalente al consumo di gas di tre Italia.
Le emissioni di CO2 associate sarebbero di 340 milioni di tonnellate e conteggiando anche il metano liberato in atmosfera senza combustione (gas venting), arriveremmo a 400 milioni di tonnellate equivalenti di CO2. Questa enorme quantità di gas sarebbe sufficiente a soddisfare il fabbisogno di energia elettrica dell’intero continente africano.
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