Ecco cosa dicono i giudici italiani sull’indicizzazione, ossia sull’adeguamento degli stipendi al costo della vita secondo la legge.
A differenza di quanto previsto per le pensioni, annualmente soggette a indicizzazione sulla base dell’andamento del costo della vita, per gli stipendi la decisione su un determinato aumento è rimandata alla contrattazione collettiva.
Non esiste, con la sola eccezione dei lavoratori domestici, un’indicizzazione degli stipendi per quanto i giudici in questi anni si siano più volte espressi a riguardo.
Pertanto, dal momento che il governo rifugge l’idea del salario minimo, i lavoratori italiani non vedono riparo dall’inflazione se non attraverso i rinnovi dei contratti collettivi, e anche lì in minima parte. C’è un oggettivo problema di risorse da questo punto di vista, ma non è facile rassegnarsi all’idea e faticare sempre di più per sostenere le normali spese quotidiane.
Ad esempio, la casa - uno dei bisogni principali di una famiglia - è un problema sempre più incombente: gli affitti crescono e sono sempre meno i cittadini in grado di acquistare. Ben 2 italiani su 3 non possono comprare casa secondo l’ultimo report Nomisma, un dato che non lascia solo l’amaro in bocca ma anche qualche dubbio sulla giustizia e l’equità di questa condizione. Non è la Costituzione a chiedere retribuzioni giuste e dignitose? Ecco cosa dicono i giudici italiani sull’adeguamento degli stipendi al costo della vita.
Stipendio adeguato al costo della vita, il blocco della scala mobile
La discussione sul rapporto tra gli stipendi e il costo della vita è da sempre accesa in Italia, soprattutto dopo l’abolizione della cosiddetta “scala mobile”. Quest’ultima garantiva infatti l’adeguamento dei salari all’inflazione, assicurando ai lavoratori dipendenti di sostenere meglio l’aumento del costo della vita. Dall’abolizione definitiva nel 1992 questo strumento non è mai tornato e non c’è nessun meccanismo automatico che tuteli le buste paga dei lavoratori dall’aumento del costo della vita.
Può apparire una scelta ingiusta, ma proprio la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità di questa scelta, nel dettaglio esprimendosi sul blocco della scala mobile con il famigerato decreto di San Valentino (1984) del governo Craxi. I giudici, infatti, ritengono che il governo mantenga il potere di indirizzare la politica economica del Paese, fissando obiettivi leciti e distribuendo le risorse in maniera coerente.
Di fatto, non esiste alcuna norma che preveda l’obbligo di adeguare i salari al costo della vita, tant’è che il dibattito sul salario minimo è affidato esclusivamente alla politica.
Stipendio adeguato al costo della vita, cosa dice la Costituzione
Allo stesso tempo, proprio la Costituzione fissa un principio fondamentale per uno stipendio “giusto”: la proporzionalità rispetto alla qualità e alla quantità del lavoro.
In particolare, il primo comma dell’articolo 36 della Costituzione indica che:
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
La legge non cita il costo della vita, che non è in ogni caso il parametro principale da prendere in considerazione, ma impone comunque delle riflessioni in questo senso.
Uno stipendio inadeguato rispetto ai costi da sostenere per la normale vita quotidiana è anche un ostacolo alla libertà e alla dignità, qualità che invece la retribuzione dovrebbe garantire ai lavoratori. Nel dettaglio, una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 27711/2023) ha fatto la storia, confermando la possibilità dei giudici di aumentare unilateralmente lo stipendio troppo basso del personale, anche superando la contrattazione collettiva.
Stipendio adeguato al costo della vita, l’orientamento della giurisprudenza
L’orientamento condiviso dalla giurisprudenza italiana ed europea vuole infatti che la retribuzione di ogni lavoratore rispetti i criteri fissati dalla Costituzione, indipendentemente dalla contrattazione collettiva e individuale. I giudici possono, e lo hanno fatto in diverse occasioni, aumentare lo stipendio dei dipendenti, eventualmente tenendo conto dei parametri individuati dal Ccnl. Queste ipotesi, tuttavia, riguardano esclusivamente i casi più gravi, nei quali lo stipendio del lavoratore è molto inferiore al salario mediano lordo (non più basso del 60% secondo la Direttiva Ue n. 2022/2041) e alla soglia di povertà.
Tendenzialmente, la retribuzione di un lavoratore full time dovrebbe permettergli di far fronte alle esigenze primarie della vita, comprese quelle di tipo sociale ed educativo, seppur a un livello minimo. La valutazione dei costi da sostenere è comunque molto delicata, dovendo trovare un compromesso tra la libertà del cittadino e la priorità di alcune necessità. Tutti hanno diritto a un’abitazione, per esempio, e anche a restare vicino ai propri affetti, ma nulla impone di prendere in considerazione una delle zone più care della città.
Effettivamente, lo stipendio può essere aumentato giudizialmente se troppo basso rispetto al costo della vita, tale da non permettere al dipendente a tempo pieno di sopravvivere ma non è mai stato sancito che debba essere adeguato parimenti. Lo stipendio, quindi, non deve essere adeguato al costo della vita, a meno che ciò sia previsto dall’indirizzo economico del governo.
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