Tel Aviv in rivolta e Netanyahu è pronto a licenziare parte del suo team di governo: i dettagli del disegno di legge che sta spaccando il Paese.
Negli ultimi mesi lo Stato di Israele è teatro di una spaccatura interna alla popolazione, espressione del dissenso dei cittadini verso la nuova riforma della giustizia proposta dal governo di Netanyahu.
Nella sola giornata di ieri, una folla record di 630.000 persone è scesa in piazza nei principali centri nazionali per il dodicesimo sabato consecutivo di mobilitazione. Una risposta così massiccia e prolungata ha dato origine ai primi cedimenti interni dell’esecutivo.
Il ministro della Difesa Yoav Gallant e il ministro dell’Agricoltura Avi Dichter si sono infatti espressi pubblicamente contro il prosieguo dell’iter legislativo. Il timore più grande è probabilmente l’intensificarsi degli scontri in strada essendo già circolate le dichiarazioni dei gruppi civili con cui veniva indetta una «settimana di paralisi». Si prospettano infatti scioperi e proteste quotidiane in numerose città, in particolare davanti alle case e agli uffici dei ministri e dei parlamentari della coalizione e alla Knesset. L’obiettivo è chiaro: impedire con ogni mezzo che mercoledì, giorno in cui è prevista l’approvazione della legge, si concretizzi questo cambio di passo.
Ma quali sono le rivendicazioni dei manifestanti? Contro quali provvedimenti si stanno scagliando? Cerchiamo di spiegarlo in breve capendo cosa potrebbe accadere da qui al 29 marzo.
Come funziona il sistema giudiziario attuale
Tutto nasce dalla riforma del sistema giudiziario che il governo di destra guidato da Benjamin Netanyahu intende varare entro la fine del mese. Per capire al meglio la natura e l’intento della riforma dobbiamo prima di tutto capire il sistema vigente.
Attualmente in Israele ogni legge può essere annullata dalla Corte Suprema, la più alta istanza giudiziaria in Israele con sede a Gerusalemme. Quest’organo giudiziario è composto da 15 giudici nominati da una commissione di 9 membri: 3 della medesima corte, 2 avvocati, 4 politici scelti dal governo (2 ministri, 2 parlamentari).
Non avendo lo Stato ebraico una costituzione, nella sua attività la Corte fa riferimento al principio «della ragionevolezza» e a leggi fondamentali su cui misura “l’incostituzionalità” delle norme. Ciò significa che qualsiasi legge o provvedimento amministrativo deciso dal governo o dal parlamento può essere affossato dall’Alta Corte.
I punti cardine della riforma israeliana
La riforma della giustizia di Netanyahu di fatto mira a sottrarre i poteri di controllo alla Corte suprema per affidarli al governo, in nome di un ribilanciamento dei poteri dello Stato. Questo avverrebbe innanzitutto affidando la nomina dei membri dell’Alta Corte all’esecutivo.
Secondo il nuovo assetto inoltre i giudici dovrebbero rinviare al parlamento una legge contraria alle leggi fondamentali che, se i deputati rivotassero a maggioranza semplice, di fatto supererebbe ogni opposizione della Corte, depotenziandola definitivamente.
Questo cambiamento d’assetto secondo i manifestanti è un grosso pericolo per la democrazia israeliana poiché determinerebbe la fine di ogni contrappeso al potere del governo in carica. È così che da 12 settimane, ogni sabato, centinaia di migliaia di persone scendono in piazza in tutto il Paese sotto il nome di “Movimento Ombrello di Resistenza contro la Dittatura in Israele”. L’ultimo raduno, quello di sabato 25 marzo, ha visto circa 300.000 persone a Tel Aviv, 65.000 persone a Haifa, 22.000 a Gerusalemme e 20.000 a Beersheva - per un totale di oltre 120 proteste.
“Non siamo nati ieri - dichiarano gli organizzatori - Non dormiremo. Chiediamo la piena abrogazione della legislazione e, fino ad allora, la lotta non potrà che intensificarsi".
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