L’Italia non ha speso il 2% del Pil per la difesa come invece da accordi con la Nato: ecco perché e quali sono i pro e i contro.
L’Italia non ha mantenuto gli impegni presi con la Nato: non ha aumentato la spesa per la difesa raggiungendo la soglia del 2% del Pil. Un dato per cui presto l’Italia, ma non solo, sarà chiamata a rispondere al prossimo vertice Nato che si terrà a luglio a Vilnius in Lituania.
Intanto l’opposizione ribadisce la propria posizione. La leader del Pd, Elly Schlein, ha dichiarato che il partito non è disposto a “utilizzare risorse e fondi del Pnrr” per produrre munizioni e armamenti, benché non sia competenza della Nato stabilire da quali “contenitori” l’Italia debba attingere alle sue risorse per mantenere l’impegno, purché l’obbiettivo però venga raggiunto.
La presa di posizione, però, ha acceso nuovamente i riflettori su un tema delicato: la spesa dell’Italia per la difesa: ecco perché l’Italia non ha mantenuto la promessa e quali sono i pro e i contro.
L’Italia non sta mantenendo gli impegni presi con la Nato, ecco perché
L’Italia, come tutti i paesi membri della Nato, si è impegnata dal 2014 a spendere il 2% del suo Pil per la difesa, anno in cui la Russia annetteva la Crimea e iniziavano i timori per un possibile progetto espansionistico della Russia di Vladimir Putin. E se di anno in anno i governi italiani hanno rinnovato il proprio intento ad aumentare la spesa per la difesa al 2% del Pil, senza mai farlo realmente, con l’invasione in Ucraina del 2022 l’aumento della spesa per gli armamenti è sembrata necessaria.
Intanto la fascia del Nord-Est della Nato ha cominciato a ipotizzare la possibilità che il 2% del Pil per la difesa non sia il “tetto massimo” da raggiungere, ma il punto di partenza. Eppure, il “traguardo” non è stato ancora raggiunto, né ci sono segnali che la situazione sia cambiata in modo sostanziale nell’ultimo biennio. Le ragioni possono essere diverse.
Le ragioni sono legate a questioni economiche e all’opinione pubblica, quest’ultima non sembra più disposta ad accettare “sacrifici di bilancio” in favore delle forze armate, questo perché se aumentano le spese in un settore, in un altro dovranno pur essere ridotte, ma quale? Senza contare la situazione economica internazionale con l’inflazione che galoppa anche a causa della guerra in Ucraina.
Nato spaccata in due: quali paesi non hanno rispettato gli accordi Nato
L’Italia non è di certo l’unico paese che siederà ai tavoli del vertice Nato senza aver mantenuto gli impegni presi con l’Alleanza Atlantica. L’anno scorso, su 30 Stati membri della Nato solo 7 Paesi hanno raggiunto o superato il 2% del Pil dedicato alla difesa e tra questi troviamo tra i primi la Polonia con oltre il 4%, gli Stati Uniti con oltre il 3% e il Regno Unito che ha superato nettamente il 2%.
Tra i 23 paesi inadempienti troviamo, invece, la Germania la quale, pur avendo promesso un incremento di 100 miliardi per la difesa, rimane ferma all’1,5% del Pil impegnato nella difesa. L’Italia si trova perfino al di sotto della Germania in proporzione al proprio Pil. Peggio di noi fanno il Canada e la Spagna.
leggi anche
Cosa farà Putin dopo gli attacchi dei droni?
Italia, spesa per la difesa al 2% del Pil: i pro e i contro
L’Italia insieme ad altri 22 Paesi dovrà render conto agli Stati Uniti delle ragioni per le quali la spesa pubblica per la difesa non ha raggiunto il 2% del Pil. E se è possibile individuare le ragioni per le quali l’Italia non abbia mantenuto gli impegni presi con la Nato, questioni economiche e opinione pubblica, c’è da domandarsi se esistano dei pro o dei contro nell’aumentare o meno la spesa per la difesa al 2% del Pil.
Alcune forze politiche sono convinte della minaccia rappresentata dalla Russia e quindi il vantaggio di aumentare gli armamenti rafforzerebbe non solo la sicurezza del proprio Paese, ma fungerebbe da vero deterrente per il presidente russo Vladimir Putin. Inoltre, secondo alcuni studi riportati dall’Economist, l’industria degli armamenti di oggi è prevalentemente hi-tech, perciò un investimento in questo settore innescherebbe un ciclo virtuoso con ricadute benefiche sulla capacità di innovazione, come sostenuto dallo studio dell’economista italiano della University of California-Berkeley, Enrico Moretti.
Esistono però dei contro che la politica e l’economia dovrebbe assolutamente prendere in considerazione. Innanzitutto, aumentare la spesa per la difesa potrebbe comportare dei minori investimenti in altri settori del Paese, senza considerare che secondo alcune forze politiche è necessario un chiaro “progetto di difesa comune” dell’Europa. Della stessa opinione è l’eurodeputato dem Pierfrancesco Majorino, il quale tempo addietro aveva spiegato che più che aumentare le risorse per gli armamenti sarebbe opportuno rafforzare i “vincoli reciproci sul piano politico”. Piuttosto che dover coordinare 27 eserciti bisognerebbe optare per una difesa comune, razionalizzando le risorse, favorendo un’“unione politica dell’Europa”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA