L’Italia è critica, ancora una volta, sulla politica dei tassi Bce e il rialzo al 3,5% non la convince: cosa teme, davvero, il Paese? Perché il Governo Meloni è contro Lagarde.
L’Italia non ci sta al rialzo dei tassi Bce al 3,5% e il suo scontento, già palesato in altre occasioni, ora si sta inasprendo.
Il clima è teso considerando che l’aumento del costo del denaro arriva in un momento di incertezza massima per i mercati finanziari dopo le turbolenze bancarie negli Stati Uniti e le scosse del Credit Suisse.
Il tutto, in una situazione economica che rischia di precipitare in recessione da un momento all’altro, malgrado le stesse proiezioni aggiornate dalla Bce abbiano scongiurato rallentamenti preoccupanti per l’Eurozona da qui al 2025. Ma la sensazione è che l’equilibrio su cui si poggia la crescita della regione a moneta unica, e la stessa Italia, sia molto fragile.
Basta un sussulto nella guerra in Ucraina, nelle tensioni Usa-Cina, nelle forniture energetiche a scombinare qual cauto sentiment di ottimismo. Per questo, la stretta della Bce contro l’inflazione più che rassicurare i Governi dell’Eurozona - visto che l’aumento dei prezzi non rallenta abbastanza e il carrello della spesa corre - preoccupa per gli effetti che potrà generare sulla domanda nei consumi e sulla crescita in generale.
Perché l’Italia è così ostile al rialzo dei tassi Bce al 3,5%? Cosa teme - più degli altri - il nostro Paese e per quali motivi il Governo Meloni si sta ribellando a Lagarde?
Guerra aperta del Governo Meloni alla Bce: dura critica ai tassi al 3,5%
Si alzano i toni di dissenso contro Francoforte dopo la decisione - comunque ampiamente attesa - di alzare i tassi di interesse di altri 50 punti base.
Tra le prime voci critiche c’è stata quella del ministro degli Esteri Tajani: “Secondo me l’Europa della moneta, mi riferisco alla Bce, non si sta muovendo nella giusta direzione e anche se oggi c’è stato l’inizio di un ripensamento, a nostro giudizio non è un buon modo di affrontare l’inflazione.”
Il ministero dell’Economia e Finanza non si pronuncia nello specifico con dichiarazioni di Giorgetti, ma a quanto trapela secondo indiscrezioni la linea resta la stessa già esposta in altre occasioni: poiché l’inflazione che sta colpendo l’Eurozona è soprattutto legata a fattori di offerta (e non da una eccessiva domanda di consumi) la politica dei tassi alti della Bce rischia di non avere un impatto, anzi di colpire la crescita economica e quindi danneggiare di più le nazioni.
Molto più esplicito e scontroso è invece Salvini, che tramite un comunicato della Lega ha dichiarato: “Non vorremmo che a Francoforte qualcuno stesse pensando di provocare artificialmente una recessione per combattere l’inflazione con la povertà. Se l’idea fosse questa si tratterebbe di un gioco da apprendisti stregoni fatto sulla pelle di tutti.”
L’affondo finale è proprio contro l’istituzione Bce, mettendo in dubbio sulla sua necessità viste le politiche messe in campo.
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C’è da dire che alcuni timori sugli effetti di tassi sempre più alti sono diffusi e non più nascosti. Per esempio, dopo la decisione di ieri, la Confederazione europea dei sindacati ha espresso toni altrettanto duri, con il suo segretario generale Esther Lynch che ha affermato che la mossa della Bce è “stata preventiva e sconsiderata in un momento in cui le banche stanno fallendo”, l’inflazione è in calo e i default sono in aumento.
Il rischio è che la stretta su prestiti e investimenti creata con un costo del denaro più alto - è proprio quello che vuole la Bce, diminuendo la domanda - si sommi a una sfiducia verso le banche e il sistema finanziario in generale. Con l’incertezza che tassi più alti e, quindi, rendimenti elevati delle obbligazioni, possano minare anche la liquidità delle banche che hanno portafogli ricchi di titoli di Stato.
Gli analisti di Dbrs Morningstar hanno commentato, come riportato da Milano Finanza, che i rischi anche per l’Eurozona sono adesso al rialzo se si considerano le prospettive economiche future:
“la recente instabilità dei mercati finanziari e l’inflazione ancora elevata potrebbero porre alcune sfide politiche...la fiducia nel sistema bancario potrebbe indebolirsi e i rischi di liquidità potrebbero aumentare se si concretizzassero ingenti deflussi di depositi e le autorità non agissero prontamente, esacerbando i timori di contagio e prolungando la volatilità dei mercati”
In questo contesto, risuonano anche le parole del governatore di Bankitalia Visco di qualche giorno fa: “ la grave situazione geopolitica rende difficile prevedere i futuri andamenti macroeconomici. [La politica Bce deve essere] prudente e guidata dai dati...in modo da riportare l’inflazione al 2 per cento nel medio periodo senza mettere a rischio la stabilità finanziaria e minimizzando gli effetti sulla fragile economia”
La tensione c’è, quindi, e il fatto che Lagarde abbia evitato di dare anticipazioni su prossime mosse sui tassi, sottolineando che tutto dipenderà dai dati, evidenzia una situazione delicata. Qualcuno già ipotizza un rallentamento degli aumenti del costo del denaro a maggio.
Occorre anche far presente, però, che l’irritazione dell’Italia è in parte figlia anche di una fragilità cronica ed endemica, fatta di spesa pubblica elevata, crescita lenta, salari fermi, burocrazia eccessiva. Visco tempo fa ha spiegato che il debito italiano è al sicuro con i tassi alti perché ha una scadenza lunga e meno vulnerabili alle oscillazioni dei rendimenti. Tuttavia, il nostro Paese rimane uno degli osservati speciali ogni volta che si muove la Bce.
A torto o a ragione, l’Italia è chiamata all’efficienza e alla svolta. Sperando che il clima generale aiuti in questo cambio di passo.
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