Con la vittoria di Milei alla presidenza, l’Argentina potrebbe scegliere la dollarizzazione, come promesso in campagna elettorale. Cosa significa e cosa rischia la nazione sull’orlo del default.
Javier Milei è il nuovo presidente dell’Argentina. Dopo aver vinto una sfida elettorale e politica difficile, ora l’anarco-capitalista (come si è autodefinito Milei) deve affrontare la battaglia più dura: quella contro una grave crisi economica.
L’inflazione è al 143%, le riserve nette di valuta estera sono in profondo rosso, i risparmiatori stanno abbandonando il peso e una recessione è dietro l’angolo, se non già in corso. Quattro argentini su dieci vivono in povertà ed è probabile una forte svalutazione della valuta nazionale.
Milei ha promesso una terapia d’urto economica, con soluzioni quali la chiusura della banca centrale e la dollarizzazione. Il presidente, che sarà in carica dal 10 dicembre prossimo, riuscirà a portare a termine questi impegni? Cosa può accadere in Argentina, oggi sull’orlo di un default, secondo alcuni esperti.
L’Argentina di Milei è pronta per la dollarizzazione?
Tra le varie proposte politiche, Milei si è impegnato a dollarizzare l’economia, ad abolire la banca centrale del paese e a privatizzare il sistema pensionistico.
La nazione si trova in una condizione davvero pessima dal punto di vista economico. Il potere d’acquisto è stato devastato da un tasso di inflazione annuo superiore al 140%, 2 argentini su 5 vivono ora in povertà e le principali aree agricole sono state colpite da una grave siccità.
“È un’economia in terapia intensiva”, ha affermato Miguel Kiguel, ex sottosegretario alle finanze presso il Ministero dell’Economia negli anni ’90. A Milei ora spetta un compito molto delicato e le sue idee per rilanciare il Paese potrebbero non essere così efficaci.
La dollarizzazione è senza dubbio una delle questioni che più delle altre sta accendendo un dibattito tra gli esperti. Il piano è complesso e implica il congelamento del tasso di cambio, la conversione di tutti i conti bancari e i contratti in dollari a quel tasso di cambio, consentendo agli argentini di effettuare transazioni in pesos o dollari per un periodo di tempo e il trasferimento del debito della banca centrale a un fondo offshore.
Secondo Davison Santana, stratega, considerando che l’attuale livello di riserve valutarie dell’Argentina è troppo basso per consentire una dollarizzazione dell’economia a breve termine, è lecito ritenere che Milei probabilmente inizierà con un piano fiscale volto a ridurre le dimensioni dello Stato.
Per l’analista Kevin Simauchi, la parte più complicata è che il governo non ha abbastanza biglietti verdi per comprare i pesos in circolazione: gli economisti hanno stimato che il Paese abbia bisogno di 40 miliardi di dollari per questa operazione. “La cosa interessante però è che gli argentini hanno quei dollari, ma al di fuori del sistema bancario ufficiale”, ha aggiunto.
Convincere gli argentini a depositare nuovamente quei dollari nelle banche è il più grande ostacolo alla dollarizzazione, data la profonda sfiducia che la nazione ha nei confronti del sistema dopo il collasso economico del 2001, quando agli argentini fu impedito di ritirare i loro risparmi in dollari dalle banche.
Tuttavia, secondo Steve Hanke, professore di economia applicata alla Johns Hopkins University:
“Il problema chiave in Argentina dal 1876 è stato il peso. Una crisi valutaria dopo l’altra. Una recessione dopo l’altra. Inadempienze sul debito: una dopo l’altra. Hanno avuto tre default sul debito sovrano dal 2000. E l’attuale tasso di inflazione, l’ho misurato proprio oggi, è del 220% in Argentina”.
Con queste premesse, Milei ha l’idea giusta. “Bisogna dollarizzare e molti di questi argomenti conteari sono assolutamente spazzatura. L’idea che, in qualche modo, non abbiano abbastanza dollari per è ridicola. La dollarizzazione è fattibile ed è auspicabile”, ha detto Hanke, affermando che i prossimi passi dovranno essere però davvero precisi e senza errori.
Argentina in default? Da dove riparte Milei
I problemi argentini sono davvero tanti e gravi.
Le riserve di valuta estera della banca centrale sono vicine al livello più basso dal 2006, e in termini netti sono ampiamente viste dagli analisti come in territorio negativo, dopo che una grave siccità ha colpito le esportazioni di colture chiave come soia, mais e grano.
Le scarse riserve minacciano la capacità del Paese di ripagare i debiti nei confronti dei principali creditori, il Fondo monetario internazionale (FMI) e degli obbligazionisti privati, oltre alla difficoltà di coprire le principali importazioni. L’Argentina dovrà rinnovare il suo già fragile programma da 44 miliardi di dollari del FMI.
Il governo ha concordato un esteso scambio di valuta con la Cina per contribuire a coprire alcuni dei suoi costi, e ha dovuto ritardare alcuni pagamenti ai principali partner commerciali come il Brasile.
Secondo l’ultimo sondaggio degli analisti della banca centrale, la terza economia dell’America Latina è sulla buona strada per ridursi del 2% quest’anno, in parte a causa dell’impatto della recente siccità che ha dimezzato i raccolti di mais e soia.
Insieme all’inflazione a tre cifre, ciò probabilmente inasprirà i livelli di povertà, con due quinti delle persone che già vivono sotto la soglia di povertà mentre gli stipendi e i risparmi vengono erosi. L’elevato tasso di inflazione dell’Argentina crea enormi distorsioni nei mercati e per i consumatori, con prezzi che cambiano settimanalmente.
Nel tentativo di contenere l’inflazione, la banca centrale argentina ha aumentato il tasso di interesse di riferimento al 133%, il che incoraggia il risparmio in pesos, ma danneggia l’accesso al credito e la crescita economica.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Argomenti