L’Italia fotografata da Istat ha almeno 5 sfide da affrontare subito per sostenere una crescita duratura e credibile: quali sono e cosa deve fare il Paese per non soccombere.
L’Italia nella fotografia Istat del rapporto annuale 2023: qual è il Paese attuale e come può cambiare per avviarsi verso una solida crescita?
Nella sintesi elaborata dagli statistici è emerso che il 2022 è stato l’anno della fine dell’emergenza, con la nostra nazione ben posizionata grazie “all’andamento dell’economia italiana...decisamente positivo, sia in termini di crescita sia sul fronte dell’occupazione”.
Il Prodotto interno lordo italiano ha visto un aumento del 3,7%, superando i risultati di Francia e Germania. La spesa delle famiglie residenti e l’andamento degli investimenti fissi lordi, “stimolati dalle agevolazioni per la riqualificazione del patrimonio edilizio e da quelle a supporto degli investimenti tecnologicamente più avanzati in impianti e macchinari”, hanno dato la maggiore spinta.
Una dinamica favorevole dell’occupazione, che è proseguita nei primi mesi del 2023, ha offerto ulteriori spiragli di ottimismo. Il rapporto ha comunque evidenziato un’industria, in generale, stazionaria e un settore agricolo in flessione.
E il 2023? L’anno ora a metà promette comunque una spinta positive per il Pil, anche se rimane pieno di insidie e incertezze. L’Istat ha individuato almeno 5 punti chiave dai quali dipenderà molto la forza dell’Italia: la crescita sarà influenzata dalla vittoria - o dalla sconfitta - di 5 sfide non più rimandabili.
1. Allerta demografica
Un primo capitolo di approfondimento sull’economia italiana è dedicato alla demografia: “le dinamiche demografiche che caratterizzano il Paese stanno avendo e avranno ancor di più effetti profondi sull’equilibrio del sistema di welfare e sulla nostra capacità di crescita”.
In termini numerici, al 1° gennaio 2023, i residenti in Italia sono 58 milioni e 851 mila, in diminuzione di 179 mila unità a livello annuale. Inoltre, “il 2022 si contraddistingue per un nuovo record del minimo di nascite (393 mila, per la prima volta dall’Unità d’Italia sotto le 400 mila) e per l’alto numero di decessi (713 mila)”.
Nascite in calo anche nei primi mesi del 2023 e bassa fecondità continuano a caratterizzare l’Italia. Non solo, allertanti sono anche altri dati: “Al 1° gennaio 2023, le persone con più di 65 anni rappresentano ormai quasi un quarto della popolazione totale. Al contrario, gli individui in età attiva, cioè coloro che hanno tra 15 e 64 anni, diminuiscono al 63,4 per cento. Si riduce anche il numero dei più giovani: i ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334 mila, ovvero il 12,5 per cento”.
Il tutto, in forme mai sperimentate prima in queste proporzioni fa sapere l’Istat. Cosa significa? L’invecchiamento demografico porterà a cambiamenti radicali sia per la necessità di garantire assistenza agli anziani in aumento, sia per la maggiore spesa pensionistica e la perdita di ricambio nella forza lavoro.
2. Puntare sui giovani
“Nel 2022, quasi un giovane su due (il 47,7 per cento dei 10 milioni e 273 mila 18-34enni) mostra
almeno un segnale di deprivazione in una delle cinque dimensioni considerate rilevanti, identificate
a partire dal sistema di indicatori BES dell’Istat. Il concetto di deprivazione viene qui inteso come il mancato raggiungimento di una pluralità di fattori, individuali e di contesto, che agiscono nella determinazione del benessere dei giovani”: così Istat inquadra un’altra sfida cruciale per il Paese.
Precarietà lavorativa, frammentazione delle esperienze di impiego, immobilità sociale sono tutti fattori che hanno ostacolato lo sviluppo del benessere giovanile, dal quale però dipende fortemente il futuro di una nazione.
L’attenzione è a un fenomeno importante: in Italia, il meccanismo di trasmissione intergenerazionale della povertà è più intenso che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea: quasi un terzo degli adulti tra i 25 e i 49 anni a rischio di povertà, quando aveva 14 anni, viveva infatti in famiglie che versavano in una cattiva condizione economica, così ha sottolineato Istat.
L’Italia, inoltre, spende meno delle maggiori economie europee sia per l’istruzione pubblica che per prestazioni sociali a vantaggio di famiglie con minori. Per questo, il monito è chiaro: il Paese deve insistere si investimenti contro la dispersione scolastica, a favore degli asili pubblici e dell’edilizia scolastica e a sostegno delle competenze tra i giovani. I fondi del Pnrr devono servire anche a favorire questa svolta.
3. Cambiare il mercato del lavoro
Non usa mezzi termini il rapporto Istat: “L’effetto del progressivo invecchiamento della popolazione, che si manifesta già oggi sul sistema scolastico e sul mercato del lavoro, sarà ancora più diffuso e accentuato nel futuro. Tra il 2021 e il 2050, le nostre previsioni più recenti stimano una riduzione della popolazione in Italia di quasi 5 milioni, a cui si associa un cambiamento sostanziale nella struttura per età.”
Tutto questo avrà ripercussioni sull’occupazione, con segnali già evidenti: “La bassa partecipazione alla forza lavoro di giovani e di donne, inoltre, è un elemento che aggrava l’effetto negativo del declino demografico sulla numerosità e sulla struttura della popolazione in età da lavoro. I tassi di occupazione per le diverse classi di età mostrano in particolare lo svantaggio di quelle più giovani: il tasso tra i 15 e i 34 anni si è ridotto dal 2004 di 8,6 punti percentuali, mentre è aumentato di 19,2 punti per i 50-64enni”.
Migliorare l’accesso al lavoro per la popolazione femminile sarà cruciale, così come aumentare la qualità formativa sia a livello scolastico che professionale. Secondo l’Istat, infatti, in Italia nonostante negli ultimi dieci anni l’istruzione superiore tra i giovani di 25-34 anni sia cresciuta di 6 punti percentuali, raggiungendo il 78% nel 2022, essa rimane ancora di 7,4 punti sotto la media europea; se si considera la classe di età 25-64 anni, il distacco arriva a 16,5 punti.
Al tutto, si aggiunge la fuga di cervelli, che aggrava il bilancio negativo di sottoutilizzo di risorse umane.
4. Cambiamento climatico e transizione energetica
Cambiare rotta significa anche confrontarsi in modo efficiente con i fenomeni di cambiamento climatico e di emergenze ambientali ed energetiche.
L’Italia, secondo l’Istat, ne ha almeno due: la scarsità dell’acqua e la povertà energetica. Sulla prima, c’è da sottolineare che: “la disponibilità idrica nazionale ha raggiunto il suo minimo storico nel 2022, quasi il 50 per cento in meno rispetto al periodo 1991-2020. A tale grave problema si associa una condizione di persistente dissesto dell’infrastruttura idrica”.
Con circa il 42% di acqua immessa nelle reti idriche che non arriva all’utente per cattiva manutenzione, la questione della gestione della risorsa è urgente. Il fenomeno sempre più frequente della siccità, infatti, richiama alla necessità di avere sistemi idrici efficienti, anche per evitare danni all’agricoltura.
Sulla povertà energetica, “il 17,6 per cento delle famiglie a rischio di povertà ammette di non essere in grado di riscaldare adeguatamente l’abitazione, e il 10,1 per cento dichiara arretrati nel pagamento delle
bollette”, dice Istat.
5. Sistema produttivo: si cambia?
Nonostante esempi di resilienza, il sistema produttivo italiano ha risentito degli shock pandemici ed energetici degli ultimi anni.
In un’analisi più ampia, Istat ha messo in evidenza che: “nell’ultimo decennio, nel confronto con le principali economie europee, il sistema produttivo italiano si contraddistingue, tuttavia, per la scarsa dinamica della produttività del lavoro, che si accompagna a una crescita più contenuta del costo del lavoro e a una debole propensione all’innovazione, in termini sia quantitativi, sia qualitativi.”
Con la pandemia si è perso anche lo slancio a innovare e a investire. Tuttavia, ci sono buone pratiche: “le imprese più innovative hanno tuttavia continuato a investire in Ricerca & Sviluppo, la cui quota è
aumentata di 13,7 punti rispetto al 2018. In Italia, negli ultimi anni, le risorse erogate dal settore pubblico al settore privato per promuovere investimenti in ricerca e innovazione, sotto forma di credito d’imposta, sono cresciute”.
Sul fronte della sostenibilità ambientale, nel 2022 il 60% delle imprese manifatturiere e la metà delle unità attive nei servizi di mercato hanno rafforzato sistemi produttivi sostenibili.
Da osservare, inoltre, la presenza di imprese guidate da giovani, che ha proprio al Sud una incidenza maggiore, al 13,9%, (13,2% nelle Isole e 10,1% nel Nord-est).
Insistere su questi esempi di dinamicità sarà fondamentale per l’Italia del futuro.
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