Non è l’aggressività individuale a generare la guerra, ma la difficoltà dei gruppi umani ad adattarsi reciprocamente: un fenomeno recente, culturale, e tutt’altro che inevitabile.
La guerra tra gruppi umani non deriva linearmente dall’aggressività individuale che per offesa o difesa è dotazione di tutte le specie. Se praticamente tutte le specie sono dotate di armi e istinto di offesa e difesa, molte meno sono quelle che replicano la postura in gruppo e bisogna poi discriminare per quali ragioni.
Va poi ricordato che tra tutte le specie da una parte e la nostra nello specifico cambia radicalmente il rapporto tra istinto e intenzione, “noi” siamo quelli che hanno minor istinto e molta più intenzionalità, deliberiamo un comportamento non come risposta immediata a uno stimolo, tra stimolo e risposta “pensiamo”. Tra l’altro, molto di più quando siamo gruppo e non individuo. O almeno quando propaganda e varie irrazionalità non accendono quella «psicologia delle folle» che ci porta a comportamenti gregari.
Per comprendere meglio il “senso della guerra” per i gruppi umani, prioritariamente dobbiamo sospendere ogni nostra passione morale, etica o emotiva. Weber chiamava questo atteggiamento “avalutatività” ovvero limitarsi ai giudizi di fatto ed escludere quelli di valore. La guerra, le sue ragioni ed effetti, accendono i nostri sentimenti, ma se inondate l’oggetto o il fenomeno di sentimenti quello che analizzerete non è la cosa in sé ma la cosa per voi, il che è di nessun interesse per la comprensione generale. Naturalmente, la perfetta “avalutatività” è impossibile per noi umani, la nostra mente è un tutt’uno di razionale ed emotivo; tuttavia, vi si può tendere di più o di meno. [...]
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