Il governo Meloni starebbe già litigando sulla legge di Bilancio 2025: ok alla conferma del taglio al cuneo fiscale per gli stipendi, ma su pensioni e tasse un accordo sembra lontano.
Cosa ci sarà nella legge di Bilancio 2025? A un mese dalla pubblicazione da parte del governo del piano strutturale di bilancio - la scadenza è fissata per il 20 settembre -, ci sarebbero distanze tra i partiti della maggioranza su come imbastire questa manovra economica che, inevitabilmente, dovrà tenere conto anche della procedura di infrazione che ci porterà a dover fare 84 miliardi di tagli alla spesa pubblica nei prossimi sette anni.
Con la politica ufficialmente in vacanza tutte le discussioni al momento sono state rimandate a settembre, ma dalle parti di via XX Settembre da tempo circolano i numeri della legge di Bilancio 2025: 25 miliardi di costo complessivo, con le coperture che dovrebbero arrivare per la gran parte dall’aumento del gettito tributario che dovrebbe garantire al governo un tesoretto da circa 16 miliardi.
Il condizionale però è d’obbligo con lo stesso ministro Giancarlo Giorgetti che non si è voluto sbilanciare sulle maggiori entrate fiscali che, nei primi sei mesi dell’anno, hanno fatto registrare un +4,1% che già varrebbe una decina di miliardi; se lo stesso trend dovesse essere confermato anche nel secondo semestre, ecco che al Mef sarebbero pronti a tirare fuori le proverbiali bottiglie dal frigorifero.
Le altre coperture per la legge di Bilancio 2025 dovrebbero arrivare dalla spending review dei ministeri e dai tagli alle detrazioni fiscali, per un totale di 5 miliardi. Il resto dei soldi poi potrebbe essere garantito da nuovi condoni e sanatorie, con il governo che a differenza degli anni passati non potrà far ricorso al debito per finanziare le varie misure della manovra.
I soldi per i tre grandi temi in discussione - pensioni, stipendi e tasse - di conseguenza sono pochi: tra i partiti della maggioranza già sarebbero in corso delle autentiche battaglie per piazzare le proprie bandierine, con il clima che non sembrerebbe essere dei migliori anche se alla fine l’ultima parola spetterà alla premier Giorgia Meloni che, come avvenuto lo scorso anno, sarebbe pronta a blindare il testo di fronte all’immancabile assalto degli emendamenti che andrà in scena in Parlamento.
Tasse, pensioni e stipendi: la legge di Bilancio 2025
La legge di Bilancio 2025 dovrebbe essere sostanzialmente una fotocopia di quella licenziata dal centrodestra lo scorso anno. Il governo infatti dovrà sforzarsi non poco per rifinanziare per un altro anno tutte le misure che cesseranno di essere in vigore il prossimo 31 dicembre.
Anche questa volta nessuna riforma strutturale delle pensioni o del fisco: il governo ha spiegato che gli impegni presi in campagna elettorale saranno mantenuti entro la fine della legislatura, ma questa promessa appare essere assai difficile da mantenere.
Nella legge di Bilancio 2025 lo sforzo maggiore sarà fatto per prorogare il taglio al cuneo fiscale, salvando così gli stipendi di circa 14 milioni di lavoratori. Il problema però è che tra un anno si riproporrà il problema di dover trovare altri 11 miliardi per riconfermare la misura anche nel 2026 e così via.
Il tema più caldo però è senza dubbio quello delle pensioni. La Lega sembrerebbe essere tornata all’assalto per Quota 41, mentre Forza Italia vorrebbe l’innalzamento degli assegni minimi. Il sentore è che entrambi i partiti resteranno all’asciutto, con la probabile riconferma dei provvedimenti previdenziali presi nella scorsa legge di Bilancio.
Per le tasse invece un accordo sembrerebbe essere maggiormente alla portata di mano. Probabile la conferma delle tre aliquote Irpef, ma c’è chi spinge per fare qualcosa di più: senza ulteriori risorse però sarà impossibile mettere in campo ulteriori misure per quanto riguarda il fisco.
Infine nella legge di Bilancio 2025 dovrebbe esserci la riconferma per il pacchetto natalità - assai caro alla premier Meloni -, dei soldi per il rinnovo dei contratti pubblici, dei fondi per la sanità e del finanziamento delle missioni all’estero. Per le grandi riforme invece ci sarà ancora da aspettare.
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