La prima avvocata italiana è la torinese Lidia Poët, che dopo una serie di peripezie è riuscita a conquistare l’ambito titolo e sarà protagonista della nuova serie lanciata da Netflix. Ecco chi è.
Lidia Poët, la torinese prima avvocata italiana. Dopo esser stata radiata dall’albo non ha smesso di perseguire il suo obiettivo e ha riconquistato il suo titolo all’età di 65 anni. Una strada professionale tutta in salita, che ha dato ispirazione a una promettente serie tv Netflix. La legge di Lidia Poët è in uscita oggi, 6 episodi incentrati sulla vita della prima avvocata italiana interpretata da Matilda de Angelis. Precorritrice del femminismo e delle pari opportunità, ideali per cui molte donne devono battersi ancora oggi. Per quanto riguarda l’avvocatura, però, almeno nel nostro paese le donne si sono prese una notevole rivincita numerica. Un percorso lungo, per cui si deve anche ringraziare proprio Lidia Poët. Ci si chiede, quindi, qual è la sua vera storia?
Lidia Poët, chi è e cos’ha fatto la prima avvocata italiana
Lidia Poët nasce nel 1855 da una famiglia valdese benestante, ma trascorre gran parte della sua infanzia in Val Germanasca, vicino a Torino. La sua formazione procede inizialmente nel modo classico previsto al tempo, con una patente di Maestra Superiore Normale, conseguita al Collegio delle Signorine di Bonneville di Aubonne. In seguito, prende anche la patente di inglese, tedesco e francese. Dopo gli studi in Svizzera torna in Italia e, dopo la licenza liceale, si iscrive alla facoltà di legge dell’Università degli studi di Torino.
Al termine del percorso universitario, Lidia Poët si laurea in Giurisprudenza portando una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne. Per un primo momento, tutto sembra andare nella maniera più rosea. Lidia, neolaureata, inizia la pratica legale a Pinerolo, presso l’avvocato e senatore Cesare Bertea, che supera con l’eccellente votazione di 45/50. Sorpassato anche l’esame di abilitazione alla professione forense, chiede l’iscrizione all’Ordine degli avvocati e procuratori di Torino.
Da questo punto in poi, inizia un percorso tutto a ostacoli. L’istanza di iscrizione all’Ordine viene sottoposta a una votazione, accolta con 8 voti a favore contro la metà a sfavore. La decisione, però, suscita scalpore e due avvocati si dimettono in segno di protesta. Nonostante ciò, la richiesta di Lidia Poët viene approvata e il 9 agosto 1883 diventa la prima avvocata d’Italia. L’istanza, firmata dal presidente Saverio Francesco Vegezzi, oltre a quattro consiglieri, era stata infatti molto eloquente: “a norma delle leggi civili italiane le donne sono cittadini come gli uomini”.
Lidia Poët, radiata dall’albo, continua a esercitare e riconquista il titolo
Il primo scoglio sembra essere stato superato, ma ben presto il Procuratore generale del Regno impugna la decisione dell’Ordine degli avvocati, sottoponendo la questione alla Corte d’Appello di Torino. Quest’ultima, l’11 novembre dello stesso anno ordina la cancellazione di Lidia Poët dall’albo. Le motivazioni della sentenza sono chiare e per nulla fraintendibili: l’avvocatura è un mondo riservato agli uomini, che da sempre hanno esercitato la professione legale. Non solo, secondo il parere dei giudici d’Appello, sarebbe stato addirittura disdicevole che una donna esercitasse la professione. Le donne, infatti, avrebbero rischiato di accalorarsi eccessivamente e avrebbero di certo sofferto la concorrenza con gli uomini. La sentenza si conclude invitando le donne italiane a riconsiderare il concetto di progresso, perché desiderare di essere uguali agli uomini se la provvidenza le ha destinate al ruolo di compagne?
Lidia Poët di certo non è d’accordo e grazie all’appoggio del fratello continua, nonostante tutto, a esercitare la professione per cui ha studiato e sacrificato tanto. Il fratello Giovanni Enrico, evidentemente tanto progressista quanto la sorella, aveva uno studio legale, nel quale Lidia Poët poté continuare l’attività legale. Ovviamente non le era consentito il patrocinio nei tribunali, ma si trattava dell’unica soluzione possibile per continuare a perorare le cause che tanto le stavano a cuore. Nonostante avesse perso il titolo di avvocato, Lidia Poët continuò infatti, e con maggior calore, a occuparsi dei diritti delle donne e degli emarginati, dando un incredibile sostegno alla causa del suffragio universale.
Molti anni dopo, anche se tardi, la dedizione e l’etica professionale di Lidia Poët vennero finalmente ricompensate. Dopo l’entrata in vigore della legge 1176 del 1919, che consentiva alle donne l’accesso ad alcuni pubblici uffici, Lidia Poët riuscì a iscriversi nel 2020 nell’Albo degli avvocati di Torino. Morì poi all’età di 94 anni, senza essersi mai sposata.
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