Una miscela di petrolio è sufficiente ad aggirare sanzioni e limitazioni, un trucco che i commercianti di materie prime avevano già utilizzato in passato.
L’Unione Europea sta preparando l’embargo al petrolio russo: se i rumor di questi giorni fossero confermati si tratterebbe della più grande sanzione del mondo occidentale nei confronti del governo Putin, che proprio nel petrolio ha una delle sue fonti economiche più importanti.
Con molta probabilità la decisione non verrà presa prima dell’elezione del nuovo presidente francese poiché l’impatto sui prezzi del gas potrebbe influenzare la partita in gioco tra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron.
Il blocco all’importazione potrebbe comunque prevedere una fase di transizione che possa garantire alla Germania e ai paesi contrari alla misura di individuare fornitori alternativi ricalcando quanto è stato fatto per il divieto sul carbone.
E se da un lato Zelensky accusa i paesi europei di bloccare gli sforzi per un embargo sulle vendite di energia, sottolineando che la Russia guadagnerà quest’anno oltre 300 miliardi di dollari «sporchi di sangue», dall’altro alcune grandi compagnie petrolifere hanno immesso sul mercato una speciale «miscela lettone» di petrolio.
Alla base c’è un mercato fiorente di miscelazione di prodotti petroliferi raffinati dove la composizione del barile è solo al 49% di origine russa e al 51% di altre fonti, in questo modo per i commercianti di materie prime il carico è tecnicamente «pulito» oltreché facilmente commerciabile.
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Vendere la nuova miscela è perfettamente legale e le compagnie petrolifere possono acquistare e rivendere in Europa carichi di origine russa al 100%, garantendo la piena soddisfazione di quell’opinione pubblica che a gran voce chiede invece di non sovvenzionare la macchina da guerra di Putin.
La miscela lettone è solo l’ultimo esempio di una tecnica già in uso da diversi anni e che in passato con i nomi «miscela malese» e «miscela Singapore» ha consentito il commercio del petrolio iraniano e venezuelano sanzionato.
Al momento Total e Repsol hanno dichiarato inammissibile l’acquisto di carichi che contengano anche solo parzialmente petrolio russo, mentre Shell ha modificato le condizioni generali di contratto specificando che «le merci non devono essere originarie della Federazione Russa, sono considerate tali se prodotte in Russia o se il 50% o più del contenuto è costituito da merci prodotte in Russia».
Nel mercato petrolifero il blending russo sembra quindi la «soluzione perfetta» al problema di approvvigionamento: il carico arriva molto spesso in Lettonia dove viene miscelato nei grandi terminal petroliferi o viene trasferito in mare da una petroliera all’altra... La strategia non è esente da rischi: Shell è già stata coinvolta in una protesta che ha visto protagonista il ministro degli Esteri ucraino per l’acquisto di un carico di greggio dagli Urali, ma nel frattempo ha stimato perdite di bilancio valutabili in circa quattro miliardi di euro.
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