L’attenzione della Nato è rivolta alla Russia e alla Cina. Il peso dei Paesi baltici e dell’Est è in aumento. Ma il Mediterraneo ribolle.
Il nuovo Concetto Strategico della Nato guarda con preoccupazione alla “minaccia” della Russia e alla “sfida” rappresentata dalla Cina. Ma dall’Europa meridionale giunge il grido d’allarme sul rischio di dimenticarsi del fronte meridionale.
Il Mediterraneo rappresenta ancora un teatro complesso e profondamente instabile, dove si giocano diverse partite che possono incidere sulla sicurezza dell’intero blocco occidentale. La richiesta rivolta a Joe Biden dal premier spagnolo, Pedro Sanchez, “padrone di casa” del summit Nato di Madrid, è stata quella di non dimenticare il “fronte sud”.
Una richiesta che da tempo trova il pieno appoggio dell’Italia, consapevole dei pericoli che si annidano su questo lato dell’Alleanza. Il capo della Casa Bianca ha ribadito che Washington e Bruxelles non sottovalutano il fianco meridionale. Tuttavia, la guerra in Ucraina ha certamente imposto un’agenda che in larga parte consente ai Paesi Baltici e di tutta l’Europa orientale di avere un peso maggiore nell’individuazione delle priorità della Nato.
La complessità del fianco sud non sembra però inferiore né slegata dal contesto ucraino. Il Sahel è oggi un enorme focolaio di crisi e di povertà, e da cui partono flussi migratori che possono essere condizionati anche dalla crisi alimentare innescata col blocco del Mar Nero.
La guerra in Libia appare un conflitto a bassa intensità ma latente. Potenze regionali si sfidano per controllare la regione. Inoltre, il gas del Mediterraneo orientale e del Nord Africa è fondamentale nella logica di diversificazione delle fonti energetiche richiesta per evitare di dipendere dalla Russia. E su questa partita si costruiscono rivalità regionali che mettono in serio pericolo la stabilità dell’intera area che va dal Medio Oriente alle coste nordafricane.
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