Esercitazioni militare di Pechino sui cieli di Taipei. La risposta muscolare della Cina per contrastare l’avvicinamento USA all’isola fa riflettere.
Ennesima prova di forza di Pechino su Taipei. Il ministero della Difesa di Taiwan ha denunciato la presenza di 71 aerei e cinque navi militari cinesi nelle vicinanze dell’isola. La maggior parte delle incursioni sono avvenute nella punta sudoccidentale della Zona di identificazione della difesa aerea (Adiz).
Da quanto emerge dai dati ufficiali, 47 di questi - parliamo di 12 caccia J-11, 18 caccia J-16 e sei caccia SU-30 - hanno attraversato anche la cosiddetta ’linea mediana dello Stretto’, un confine ufficioso tacitamente rispettato negli ultimi decenni.
La rottura di questo equilibrio, che in realtà caratterizza un po’ tutto il gioco di pesi e contrappesi che si gioca tra le due potenze, è da tempo sotto i riflettori internazionali. Più e più volte infatti, nel corso degli ultimi mesi, e in particolare dallo scoppio della guerra in Ucraina ad oggi, i segnali di allerta sono stati lampanti.
La linea di demarcazione sembra sempre più labile e c’è chi si è spinto a prospettare l’avvio di un conflitto qualora gli Stati Uniti non demordano nel loro frapporsi tra i due territori in favore dell’integrità dell’autonomia taiwanese. Non a caso, ricordiamo che le ultime incursioni avvennero in agosto, durante la visita nell’area della speaker della Camera dei Rappresentanti Usa, Nancy Pelosi.
Un atteggiamento così muscolare non si vedeva da tempo e, in questo caso specifico, sarebbe stato ulteriormente risvegliato dalla recente approvazione da parte del Congresso degli Stati Uniti del cosiddetto NDAA. Con questo acronimo ci riferiamo al National Defense Authorization Act, un documento che autorizza una spesa miliardaria in difesa, energia e sicurezza nazionale e che include aiuti militari a Taiwan.
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Le dichiarazioni ufficiali sono le fondamenta interpretative di questo gesto.
Proprio dal cuore delle istituzioni cinesi arriva infatti una nota di peso. Shi Yi, portavoce del Teatro orientale di operazioni afferma come l’Esercito popolare di liberazione abbia «condotto esercitazioni congiunte interforze di preparazione al combattimento nello spazio marittimo e aereo intorno all’isola di Taiwan» affermando poi come questa sia «una risposta ferma alla crescente collusione tra gli Stati Uniti e le autorità taiwanesi e alle loro provocazioni».
Il punto di vista della Cina non a caso è quello di una potenza egemone che guarda a Taiwan non come a uno Stato indipendente quanto piuttosto a una provincia ribelle ancora ad riunificare, una parte del suo progetto di grandezza ancora non allineata alla proiezione e alla visione del Partito. Soprattutto sotto la presidenza di Xi Jinping, i rapporti bilaterali tra i due Paesi hanno registrato drastici sfaldamenti.
Cosa dobbiamo aspettarci?
La Cina parla di «esercitazioni» e secondo il ministero della Difesa di Taiwan si è trattato di una delle esperienze militari più corpose da quando si è iniziato a pubblicare report quotidiani.
Da parte dell’Isola arriva, per tale ragione, quello che potremmo definire un «controsegnale». Stiamo parlando dell’appuntamento fissato per il 27 dicembre in cui la presidente taiwanese Tsai Ing-Wen terrà una conferenza ufficiale in cui presenterà i dettagli della probabile estensione della leva militare cittadina.
Possiamo parlare quindi di guerra potenziale? Secondo buona parte degli analisti geopolitici più accreditati la risposta è no. La disponibilità per un’attacco concreto non ci sono, ma non sul fronte logistico, quanto più sul lato strategico. Per evitare un confronto tattico che indebolirebbe la tenuta della potenza cinese, è più probabile che assisteremo ad altri confronti di questo tipo per allontanare gli States in vista e in favore di una lenta e progressiva assimilazione di Taipei.
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